Il rischio di esser accusati di trivialità, o che qualche affetto da sindrome acuta di politicamente corretto lo prenda per uno sfogo omofobico, è alto. In ogni caso, voglio correre il brivido del periglio: a me, quando sento dire che la crisi è ormai alle spalle, mi manca la forza necessaria a resistere nel dar corso, subitaneamente, a gesti apotropaici variamente articolati. Soprattutto se non è la prima volta che lo sento dire, ovvio.
Breve storia della crisi che era alle spalle, e invece no. Marzo 2010, conferenza stampa al ministero del tesoro, presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: «dopo essere usciti da una forte crisi, stiamo iniziando la risalita». Infatti. Aprile 2012, intervento a una platea di alti funzionari e dirigenti politici e del mondo dell’economia cinesi, presidente del Consiglio Mario Monti: «lasciatemi osservare che la crisi dell’Eurozona c’è stata ma credo sia superata». Appunto. Febbraio 2014, impressioni dal viaggio di Stato negli Emirati Arabi Uniti, presidente del Consiglio Enrico Letta: «l’Italia nel 2014 ha la crisi dietro le spalle, e deve e può attrarre investimenti». Precisamente. Marzo 2015, cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico alla Scuola Superiore di Polizia, presidente del Consiglio Matteo Renzi: «abbiamo attraversato una fase emergenziale di crisi economica. Ne siamo fuori? Credo di sì, perché segnali univoci vanno in quella direzione». Certo. Settembre 2017, Forum Ambrosetti di Cernobbio, presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: «ci siamo messi alle spalle la crisi più acuta che abbiamo avuto dal Dopoguerra». Indubbiamente. Ora, sarà per la mia natura cafona, però permetterete che ceda un po’ alle seduzioni, nonché alle paure, della scaramanzia.
Poi, per carità, io sono il primo a festeggiare le fine del tunnel, se davvero è tale. Anzi, sono sicuro che sia così, per questo mi chiedo quando vedremo i frutti concreti e tangibili, nel senso del poter essere presi e mangiati, del grande ed encomiabile lavoro fatto dai nostri perfetti governanti. Del tipo, quand’è che ci saranno aumenti contrattuali significativi per i lavoratori di tutti i comparti? Quando si metterà fine alle, a questo punto non più giustificabili, politiche di austerità e sacrifici, come l’innalzamento continuo dell’età per l’accesso alla pensione o i tagli in settori quali ricerca e sanità? Quando vedremo un bel piano di rilancio degli investimenti pubblici per sostenere al meglio l’occupazione e i settori che maggiormente hanno sofferto negli anni passati?
Se la crisi è finita, non capisco cosa si stia aspettando.
La necessità di un avanzo primario stabile per ripianare il debito pubblico richiede sacrifici “secolari” e l’ottimismo è rivolto dunque alle future generazioni di un paese con un saldo demografico negativo.