La bassa istruzione conviene. A quelli che stanno in alto, ovviamente

«Tradizionalmente, le classi dirigenti italiane si sono occupate poco, tranne eccezioni, come Giovanni Giolitti, di impegnarsi nel migliorare il funzionamento delle scuole», spiegava Tullio De Mauro in un’intervista del 2013. Le parole del linguista campano recentemente scomparso mi sono tornate alla mente in questi giorni, fra sperimentazioni di licei brevi e discussioni sull’età dell’obbligo scolastico.

«La valutazione, corretta, di questi gruppi dirigenti», aggiungeva in quell’occasione De Mauro, «probabilmente è che uno sviluppo adeguato dell’istruzione metta in crisi la persistenza di questi gruppi stessi in posizione di potere». In quel «corretta», tutta la perfidia dell’intellettuale. E in effetti, corretta quella valutazione lo è davvero. A che servono, realmente, l’istruzione e la cultura che attraverso quella ognuno può costruirsi? No, non a trovare un lavoro. Serve, o almeno dovrebbe servire a sviluppare le proprie capacità di comprendere e giudicare, di critica, per dirla diversamente. Nel 2010, in Not for Profit. Why Democracy needs the Humanities, l’accademica statunitense Martha Nussbaum poneva l’accento proprio su quella rinuncia da parte degli Stati a formare, attraverso la scuola e i suoi programmi d’istruzione, cittadini attivi e critici, protagonisti della vita democratica, puntando, invece, e al contrario, sulla creazione di produttori efficienti e, soprattutto, docili. Già, meglio, sì, molto meglio insegnare ai cittadini a fare qualcosa di pratico, concreto, spendibile nella produzione. Ancora di più, limitare al massimo i loro strumenti di comprensione e valutazione in modo che, se mai ne avessero tempo e voglia, manchi a essi il modo di capire e farsi da soli un’idea del mondo in cui vivono. Meglio per chi sta in alto, ovviamente.

Noi, intanto, qui continueremo ad arrangiarci come al solito. Sperando di aver sempre qualcosa sul desco per il desinare (panem) e che non ci manchino le solite e amate nostre distrazioni (et circenses), il dio pallone o la sempre amata mamma tv, la possibilità di fingere di contare qualcosa con un like e il tele-voto, così da poter dire, convincendocene, che, in fondo, siamo noi a decidere, nostro il potere, nostra la scelta.

Certo, come no.

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