«Le piccole Stalingrado genovesi si sono rivelate altrettante Caporetto. Al Cep Marco Bucci ha vinto in nove sezioni su nove sfiorando il 60%. A Cornigliano il manager del centrodestra ha ottenuto il 56,05%, a Quezzi il 53%. Le vittorie del povero Gianni Crivello sono state rare e sofferte, persino nella sua Pontedecimo, dove è stato per anni presidente di circoscrizione e l’ha spuntata pe soli dieci voti. la Genova presunta rossa ha votato. Ma non per il suo candidato naturale, o supposto tale».
Così Marco Imarisio, per il Corriere della Sera del 27 giugno a proposito dei risultati elettorali nel capoluogo ligure e con un reportage chiaro fin dal titolo: «L’illusione di una Genova rossa». I quartieri operai, ma sarebbe meglio dire “ex”, e popolari hanno scelto il centrodestra, voltando le spalle alla sinistra e ai suoi candidati. E non è successo solo all’ombra della Lanterna. A Piacenza e in molte città dell’Emilia è accaduto lo stesso, e anche a Sesto San Giovanni, “Sestograd”, nel mito comunista nostrano. E in tutti questi casi, più o meno apertamente, commentatori e analisti dicono che è accaduto per le paure generate dall’insicurezza nelle vie e fra i caseggiati e per le ricadute sociali dei problemi legati all’emigrazione. Meglio, alcuni giornali non esitano a dire che il Pd e le forze di centrosinistra sono state danneggiate dalle campagne politiche e mediatiche contro alcune aperture verso gli stranieri, prima fra tutte le ipotesi di ius soli. Lesto come da par suo, Renzi già fiuta il vento e comincia a contrapporre nelle sue parole i concetti di identità e invasione, come da tempo fa la destra più becera, «meschina», la diceva egli stesso. Eppure, già sapendo minoritario l’approccio di apertura nei confronti di quanti scappano da guerre, miserie e fame, lo ritengo giusto, e non smetterò di sostenerlo.
Perché la politica non è vincere le elezioni. Quello può star bene a quanti di quella materia fanno mestiere. La politica, per me, sono le idee di mondo che uno ha in mente. E nella mia non c’è la lotta tra gli ultimi e i penultimi a vantaggio dei primi, non c’è la cacciata dell’altro per difendere le nostre comodità, non c’è la vessazione dei più deboli solo per il timore d’esser espulsi dal presunto novero dei forti: queste cose le lascio volentieri alla Lega e alle destre che le son pari.
Nulla di nuovo nemmeno sotto il profilo sociale. Nel Nord Italia operaio e resistente, che si oppose in armi al nazi-fascismo e lottò per i valori della democrazia, della libertà e, immagino, dell’uguaglianza fra gli uomini, comparvero i cartelli «non si affitta ai meridionali». Il lavoro dei corpi intermedi, dai sindacati ai partiti passando per le chiese, fu quello di spiegare che non era nella contrapposizione la risposta, ma dall’integrazione, al contrario, poteva muovere la spinta per una comunità diversa.
Viviamo un problema non dissimile. Non vedere i problemi è un lusso che può permettersi chi non sa l’odore acre dei portici sporcati dai bivacchi notturni sotto i portici di via Cantore o via Avio a Sampierdarena. Strumentalizzarli per qualche voto in più è una pratica becera che lascio volentieri ai Salvini e alle Meloni, o quanti a essi si vogliono aggiungere. Nel mezzo, possono darsi due strade. Tacere sulle risposte, che può servire a non perdere consensi, ma non avvicina di un millimetro alla soluzione. Oppure, continuare nell’impegno in cui si crede, immaginando il mondo e l’umanità che verranno e preparando il terreno in cui si dovranno muovere.
Io sarò lì, ben sapendo che i molti non li incontrerò per quella strada.