Chi può e chi no. Ovvero, della democrazia e delle spese elettorali

Giuseppe Menardi, 54.100 e Federico Borgna, 49.100. Distaccatissimi tutti gli altri: Manuele Isoardi, 2.400; Maria Luisa Martello, 2.000; Nello Fierro, 1.600; Giuseppe Lauria, 1.550; Fabio Corbeddu, 1.500. Nomi e numeri che ai non cuneesi potrebbero dir poco, ma sono quelli delle spese elettorali preventivate e dichiarate (e sperando che non si discostino troppo, per difetto, da quella che alla fine sarà la realtà dei costi effettivamente sostenuti), com’è d’obbligo nei comuni al di sopra dei 50 mila abitanti, dai vari candidati a sindaco nel capoluogo della Granda.

Uno iato abissale: cinquantamila euro, poco più o poco meno, per i primi due, cifre che si agirano sui duemila per gli altri cinque. Il fatto, poi, che la vox populi corroborata dalle opinioni degli esperti veda proprio in quei due i protagonisti della sfida elettorale cittadina con più chances accende una luce particolare sullo stato generale della politica e dei rapporti di forza, anche economici. Seppur da un’angolazione squisitamente locale, quello di Cuneo è un caso che potrebbe aiutarci a definire un paradigma già da alcuni anni radicato nel sentire comune e diffuso e sostenuto dai risultati effettivi delle competizioni; eliminando i soldi pubblici e la funzione dei partiti come catalizzatori di impegno e risorse (non sempre cristalline, va detto) rimangono le potenzialità dei singoli o dei gruppi e le loro capacità di raccogliere sostegni. E siccome stiamo parlando di soldi, non so quanto quest’aspetto centri ancora con la democrazia e i suoi princìpi.

Perché, che siano fondi propri dei candidati o finanziamenti raccolti tra finanziatori esterni, rimangono sproporzioni evidenti e spesso incolmabili fra i vari attori in campo. Essere più ricco di un altro non dovrebbe assumere una dimensione centrale, ma se la politica, per esser fatta, ha bisogno di quattrini, ecco che la cosa sposta la partita sul piano della praticabilità stessa della contesa nel campo democratico. E ciò avviene di pari passo nella facoltà di accesso ai sostegni privati: chi ha più mezzi e possibilità di successo va da sé  che sia facilitato anche nella raccolta delle erogazioni. I medesimi canali di crowfounding, apparentemente solo una semplice versione 2.0 della colletta, in realtà possono essere fortemente influenzati dalle dotazioni finanziarie dei diversi contendenti; quelli che hanno più mezzi, li avranno pure per promuovere le loro campagne social.

È un’americanizzazione della politica in corso da tempo, per la quale, o sarebbe meglio dire “contro”, non ho, né vedo, possibili soluzioni a breve e che non siano di sistema. Ma siccome so che quello che quanto chiedo sarebbe visto da molti come un passo indietro inaccettabile – per quanto io lo intenda quale superamento della trasposizione democratica dei rapporti di forza economici – non mi rimangono che queste parole per provare a dire che, continuando così, alla fine si potrebbe rischiare di essere in grado di stabilire l’esito delle urne leggendo i saldi d’un estratto conto.

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