Non c’è altra spiegazione, o almeno, non ne trovo io. Ieri dicevo del candidato suo competitor per la segreteria del partito, che dev’essere la reincarnazione dell’eroe di Roncisvalle visto l’entusiasmo che suscita in quanti vorrebbero una discontinuità del Pd rispetto alle politiche fatte finora, non quello che da ministro le ha tutte sostenute e le sostiene, visto che il governo di cui è parte, proprio rispetto a esse, al contrario, rivendica una sostanziale e formale «continuità». Ma oggi devo ammettere che l’altrimenti imbarazzante affollamento che si registra in discesa dal carro di Renzi non può avere ragione diversa che quella di un’occupazione da parte di omonimi che stanno riempiendo i luoghi della politica e le redazioni dei giornali.
Prendiamo il principale araldo del renzianesimo inverato nella pratica di governo, La Repubblica. Su quelle colonne, sabato, una firma importante quale quella dell’ex direttore Ezio Mauro compariva in piedi a un articolo che voleva, testuale, i problemi dell’attuale fase istituzionale frutto del «groviglio del potere cresciuto intorno all’ex presidente del Consiglio, che lo ha coltivato o tollerato nell’illusione di proteggersi, fino a restarne imprigionato». È ovvio che non può essere lo stesso autore e lo stesso giornale che per tre anni quel presidente del Consiglio hanno sostenuto e difeso, al limite del dileggio, da qualunque eccezione o dubbio. E ancora, domenica, la rubrica che più d’ogni altra nei trentasei mesi precedenti s’è incaricata di spiegare che meglio di Renzi non c’era altro, fino a far temere al suo autore la fine nel nulla dell’intero Paese se il suo campione non avesse vinto nella lizza referendaria, definiva quella che si va ora adombrando «una leadership chiusa e incapace di collegialità, al punto di rischiare riforme facilmente azzoppabili perché confezionate “in casa” dai renziani». Davvero sono la stessa Amaca e il medesimo Michele Serra? Chiaro che no: extraterrestri truppe ostili ne devono aver preso nel sonno nome e sembianze, come in quella pellicola degli anni ’50, L’invasione degli ultracorpi.
Volendo provare a farci più seri, era chiaro fin dall’inizio che gli antirenziani più ferventi fattisi renzisti ortodossi sarebbero stati i primi e maggiormente solerti nel dirsi mai stati renziani. Però, insomma, est modus in rebus; così è troppo pure per una nazione da sempre abituata a far seguire il codardo oltraggio al servo encomio. Vergin d’entrambi, non mi meraviglia il vederli realizzati e manifesti, come scene d’un film già visto, appunto, ma mi stupisce la rapidità e la pervicacia, addirittura la violenza, con cui l’uno sta sostituendo ora l’altro.
Sarà anche questo un effetto della stagione che vuole la politica ballare a tempo di tweet?