«Detroit. Fiat Chrysler ha annunciato un investimento da 1 miliardo di dollari per la produzione di tre nuovi modelli Jeep negli Usa: la produzione delle Jeep Wagoneer e Grand Wagoneer e di un nuovo pick up (furgone scoperto) a marchio Jeep negli stabilimenti di Warren (Michigan) e Toledo (Ohio) vedrà la creazione di 2mila nuovi posti di lavoro. Alla vigilia dell’apertura del Salone dell’Auto di Detroit, Sergio Marchionne ha giocato dunque d’anticipo per evitare le critiche del presidente eletto Donald Trump allo spostamento di parte della produzione statunitense verso il Messico: non a caso, specifica la nota di Fca, “l’investimento a Warren permetterà alla fabbrica di produrre il furgone scoperto Ram Heavy Duty, attualmente prodotto in Messico”».
Il Sole 24 Ore le scrive così, senza lasciar trasparire imbarazzo o contraddizione. Eppure, in quelle poche parole c’è la contraddizione della tesi dallo stesso giornale e dall’economia mondiale per anni sostenuta: quella dell’ineluttabilità del modello capitalistico finanziario e globalizzato, alla costante ricerca di profitto e riduzione dei costi, anche, se non soprattutto, attraverso processi di delocalizzazione delle produzioni. Invece, al primo accenno delle parole «grossi dazi» pronunciate da Trump a proposito delle importazioni di autoveicoli costruiti fuori dagli Usa, l’intero assunto è rimesso in discussione e prima Ford poi Fca fanno (e parlando di automobili, l’immagine è giusta) marcia indietro e sconfessano le pratiche da decenni perseguite e dichiarate come ineludibili. Ora, mi chiedo, ma bastava davvero solo l’annuncio di un’imposta aggiuntiva per invertire il processo che più di altri ha contribuito alla desertificazione industriale, e quindi occupazionale, nell’ultimo quarto di secolo?
No, perché, nel caso, sarebbe davvero urticante per le migliaia, che dico, i milioni di lavoratori che in questi anni di liberismo trionfante hanno dovuto subire l’affronto di sentirsi rispondere «non ci sono alternative» alle loro giuste richieste di aiuto e, perché no, protezione. In modo particolare, ed è quello che secondo me fa più male, quel «non possiamo farci nulla» era esibito a titolo di autodifesa dalla parte che a quei lavoratori doveva essere più vicina, la sinistra, appunto, che, da ultima convertita ai dogmi di Wall Street, ne dimostrava l’adesione e la fede con maggiore ortodossia.
E così, quegli operai espulsi dai processi produttivi hanno finito per votare Trump.