Ma capivo le cose che dicevano

«L’orsacchiotto che rimpiangono i funzionari, gli intellettuali e i giornalisti del bel tempo che fu», scrive Fabrizio Rondolino, in un commento su l’Espresso alle differenze fra il Pd di oggi e la tradizione politica da cui nasce, «non era né un partito di governo (a governare ci pensava prima la Dc, poi Berlusconi) né di opposizione (il consociativismo è sempre stato il risvolto pratico del radicalismo parolaio), ma una sorta di gigantesca comunità terapeutica che garantiva identità, carriere, rispettabilità, e la cui principale, se non unica, attività consisteva nella produzione di dibattiti a mezzo di dibattiti».

Niente male, per uno che scrive del partito per cui, direttamente o indirettamente, lavora e ha lavorato. Deve sapere di cosa parla, evidentemente, il buon ex collaboratore di D’Alema e suo fedelissimo (ai tempi che vedevano Baffino potente, non come ora, che potente è Renzi, e infatti lui di Renzi è cantore) quando dice che il partito garantiva le «carriere», e forse ha anche in mente qualche nome, diciamo, di tanti che, del e nel partito, hanno fatto il loro ambiente professionale sicuro e fruttuoso. Però, io che non ho avuto mai alcuna qualità o merito per affermarmi in quel senso ed essendo stato sempre un po’ corsaro rispetto alla partecipazione, altro che pupazzi di pezza e partiti mamma, lo confesso, a loro guardavo e per loro votavo. Perché? Perché capivo le cose che dicevano, e perché, vi sembrerà un paradosso, ma erano pure più bravi a comunicare le loro idee, rispetto a un oggi in cui, al netto degli slogan e degli hashtag, sinceramente non ho ancora capito cosa vogliano fare i nuovi governanti del maggior partito e del Paese.

Non c’è discorso che non inizino con un “prima non si è fatto nulla”, quasi il mondo intero nascesse con loro, eppure, a stento si scorge il solco della novità nello stanco ripetere esperienze già viste, per quanto le attuali siano di tono e con toni nettamente inferiori. La “rottamazione” eletta a parametro ha prodotto il riciclaggio in ruoli improbabili di imperterriti onnipresenti, mentre là dove si è riusciti, non senza ragioni, a scalzare qualcuno, chi l’ha sostituito ha ben presto fatto rimpiangere il predecessore.

E poi, ripeto, quel nulla assoluto, metafisico, imperscrutabile che, continuamente quanto invano, una retorica tronfia di vacuità cerca di nascondere e velare. Riuscendo solo, ahinoi, a risultare rumorosa, ancor più fastidiosa dato l’effetto risonanza che il vuoto da cui promana decisamente amplifica e sostiene.

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1 risposta a Ma capivo le cose che dicevano

  1. Enrica scrive:

    Rondolino pendolino è davvero senza pudore. Lui, per non perdere l’orsacchiotto, è passato da un potente all’altro con una faccia tosta imbarazzante. Accusarlo di essere un voltagabbana è quasi un complimento.

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