A qualche mese dalle amministrative, la storia di quelli che spiegano in lungo e in largo che “non si può rompere a sinistra per non favorire la destra”, puntualmente si ripete. In pratica, stiamo parlando di persone, politici o elettori, che di quello che fa il partito di maggioranza relativa in quell’ambito (o che solamente dice stare da quella parte, ma non è qui il tempo di approfondire), a parole, non condividono assolutamente nulla, non di rado accusandolo di fare quello che vuole la destra, criticano praticamente tutto, contestano fin nella radice scelte su questioni di importanza capitale, dalla Costituzione alla concezione dei rapporti di forza nel lavoro e nell’economia e fino all’idea che si ha di gestione del territorio e tutela dell’ambiente, e non sono cose che non c’entrano con il livello locale, anzi, però poi, votano, si candidano e sostengono quel partito o liste collegate alle coalizioni in cui esso è preponderante al punto da caratterizzarle. Sarà un mio limite, ma non lo capisco.
Eppure, non sono affatto prevenuto nei confronti di quella forza politica: l’ho votata, ne ho fatto parte, nel mio piccolo ho cercato di darle un contributo. Quando faceva cose in cui mi riconoscevo; poi ha iniziato a farne altre – l’elenco sarebbe lungo, chiunque può farsene uno proprio – e dopo averlo criticato per un po’ rimanendoci, vedendo che non solo non cambiava la direzione intrapresa, ma su quella accelerava, ho deciso che era tempo di cambiare aria, andandomene. Spesso, però, incappo in persone che a quelle azioni rivolgono critiche che io stesso raramente ho immaginato, nondimeno, in quel partito rimangono o con quello vi si alleano. Non parlo di coerenza, per carità: ma almeno una qualche consequenzialità fra atti e parole ce la si aspetterebbe. Invece, nulla.
È un po’ come nella celebre battuta di Nanni Moretti in Ecce bombo, «mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente», alla quale essi rispondono sostenendo la tesi contenuta nella prima parte: vogliono esserci, anche se poi si mettono in disparte. Sinceramente, non riesco a darmene spiegazione. I cinici sostengono che sia perché sarebbe più comodo; nel senso che è più comodo fingersi minoranza al riparo delle difficoltà di esserlo per davvero, stando cioè realmente fuori dai giri che contano, e rivendicare un’alterità che nei fatti non si scontra mai con un’azione effettivamente contraria.
Una spiegazione che non mi convince del tutto, sebbene abbia punti di attinenza con quel che si vede, in quanto a soffrire di questa sindrome, per così dire, “morettiana” soffrono pure gli elettori, non solo gli eletti, e non si può immaginare che essi traggano qualche “comodità” dal votare per un partito, o per un’alleanza in cui comunque questo è determinante, criticandone le politiche. A meno di non pensare che sia un modo per accreditarsi un certo “diritto di critica”. Nel qual caso, sommessamente, vorrei far notare che si può criticare allo stesso modo, e forse meglio, standone fuori; certo, non capiterà mai di trarne benefici materiali, ma si dorme meglio la notte e alle volte ci si diverte non poco.
I soliti noti “minoranza fu pd” e i loro slogan “”non ci assomigliano per niente, ma dobbiamo fare da controfigura a Verdini e Alfano(Berlusconi per non dimenticarci)”.
La controfigura e’ il nostro tagliando quotidiano, trimestrale, semestrale e annuale per non finire rottamati.
p.s continua…..