Chi è che mente?

Secondo il vocabolario Treccani, mentire è «alterare la verità, dire il falso con piena consapevolezza». Non solo, quindi, dire cose non vere, ma averne consapevolezza, sapere che la verità è un’altra. Tranquilli, non voglio fare piccoli saggi di semantica, ma parlare di referendum sulle trivelle, al quale io parteciperò e voterò “sì”, cosa che non mi stancherò di ripetere fino al 17 aprile. E ne voglio parlare partendo da due filmati che ho visto nei giorni scorsi.

Nel primo, il presidente della Puglia Michele Emiliano, a proposito delle posizioni su quel quesito, dice: «il presidente del Consiglio qui ha detto due bugie». Nel secondo, il deputato Ernesto Carbone mette, dal suo punto di vista, in guardia: «non fatevi ingannare da chi vi racconta che questo referendum è contro le trivelle». Insomma, nell’uno, un uomo del Pd tanto rilevante per quel partito da farne il maggiore amministratore di un’importante regione spiega che il capo del suo partito dice cose non vere; nell’altro, un rappresentante del Pd così significativo da farne la voce pubblica per spiegare le ragioni della posizione su quella consultazione, argomenta che a dire quelle cose non vere sono i promotori del quesito, tra cui 7 regioni che il suo stesso partito guida. Mi chiedo: chi è, fra il Pd di Emiliano e il Pd di Carbone, ad «alterare la verità, dire il falso con piena consapevolezza»?

Tralascio qui la pur facile osservazione sul come sia chiara la posizione di quella forza politica, che da un lato approva una norma che a un livello diverso cerca di contrastare, sperando, magari, di tenere in sé le ragioni, ma soprattutto i consensi elettorali, dei favorevoli e dei contrari. Inoltre, non voglio addentrarmi nell’altrettanto semplice ragionamento sull’inconguenza di un’azione di governo che vieta nuove ricerche entro le dodici miglia nautiche dalla costa, ma consente il rinnovo delle esistenti e l’unione tra piattaforme e acque territoriali “finché morte (del giacimento) non le separi”, quasi a voler consacrare la consueta, all’anima del nuovismo, prassi italica del “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”, sottacendo sulla perfida domanda sul chi siano quei “chi”. Così come sorvolo anche sulle argomentazioni di supporto alle due tesi, che fanno dire ad Emiliano che Renzi non approfondisce gli argomenti e si esprime nel merito delle questioni sulla base di “veline” sommarie, e a Carbone che il referendum è contro i diecimila lavoratori che operano nel settore, asserendo, in pratica, che il suo partito a livello locale in Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Calabria, Campania e Molise combatte contro i lavoratori, lavora per far perdere il lavoro a diecimila persone.

Che le estrazioni petrolifere non determinino alcun aumento dell’occupazione nei territori interessati, infine, io lo penso da tempo; a sostegno di questa mia idea uso un solo dato: nell’ultimo ventennio, quello dello sfruttamento intensivo dei giacimenti, la Basilicata, prima regione del Paese per produzione di idrocarburi e capofila (credo nonostante il suo presidente) fra quelle che chiedono il referendum per limitare l’attività in mare, ha perso più di 60.000 abitanti, il 10 per cento della popolazione, dagli anni Sessanta, quando è iniziato l’attività estrattiva intensiva e industriale dei giacimenti di idrocarburi, e uno studio condotto da Sinloc per conto della Bei e di diverse fondazioni bancarie, stima che entro i prossimi 15 anni saranno in più di 50.000 a seguirli. Se ne andrebbero tutte quelle persone se dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi derivasse il benessere e l’occupazione di cui i tifosi delle trivelle (a casa d’altri) fantasticano?

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