Ma per carità

Ho dovuto leggerlo due volte. Non per la complessità del ragionamento, che in sostanza è solo la versione basica e adattata ai tempi dell’apologo di Menenio Agrippa, né per la novità delle tesi lì contenute, che, appunto, dall’alba della storia dell’uomo e del suo farsi sociale vengono puntualmente ripetute, ma proprio perché non riuscivo a crederci.

Insomma, Gianni Riotta, per commentare l’annunciata decisione di Mark Zuckemberg di donare il 99% delle sue azioni di Facebook, parte da una critica delle teorie di uno dei pochi economisti che da tempo denuncia la sperequazione, meglio, le scandalose e immorali disuguaglianze del capitalismo finanziario mondiale, Thomas Piketty. E lo fa, in sostanza, dicendoci che il professore parigino sbaglia in quanto i ricchi di oggi sono meno potenti di quelli del XIX e del XX secolo (pensate, non hanno nemmeno schiavi nelle piantagioni o operai bambini affamati nelle fabbricati; non in Occidente, almeno), e poi, alla fin fine, saranno pure danarosi, ma non scordano mai di lasciare l’obolo. Ma senza sprechi, s’intende, mica come quei dissipatori d’un tempo, col cilindro e il monocolo.

Ora, per carità (e ci sta), quello che ha fatto Zuckemberg non è roba di tutti i giorni. Da qui a farne un modello da contrapporre a quanti non si stancano di parlare di uguaglianza e redistribuzione, ne passa. Anche perché, in fondo, quello che emerge da suo gesto ci vuol poco a farlo passare per carità, ma non le senso della periodo precedente. Certo, posso capire che è un concetto difficile da veicolare nelle stanze del giornale degli Agnelli, eppure, non è arduo da cogliere, no?

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