Lo ero ieri, lo sono oggi, con i miei fratelli greci. Είμαι Έλληνας, direbbero da quelle parti, è per me, nato in quella che era un tempo Μεγάλη Ἑλλάς, seppur per essi μετα τον ποντον, stare con loro è abbastanza naturale. Sono contento che Syriza sia il primo partito, che Tsipras probabilmente avrà l’incarico di formare il governo e che potrà aver la possibilità di proseguire con le politiche giuste che aveva iniziato. Però.
Però, fossi stato dall’altra parte dello Ionio e chiamato a votare, avrei risposto come Bartleby, preferendo declinare l’invito. Perché? Ma perché dopo la resa dei governanti greci, novelli Teramene costretti a piegarsi alle richieste degli agguerriti emuli dei Lacedemoni, armati di tassi di interesse e ratei di finanziamento, c’è poco da far politica. Chiunque avesse vinto, dovrà applicare i protocolli di Bruxelles e Francoforte, e certo Tsipras, meglio di Meimarakis e della sua Nea Democratia, potrà correggere alcune storture, ma sarà al massimo leggero balsamo, difficilmente cura per le ferite degli ultimi. E in tanti questo l’hanno capito, ecco perché la metà dei greci è stata a casa.
Mi si potrebbe dire che quello schema, ormai, è presente in tante parti d’Europa, e la coincidenza sulle grandi linee degli atti dei governi, indipendentemente dal colore, in materia economica e sociale è quasi un dato acquisito. Certo, ma ciò rafforza la mia idea di non prendere parte a una scelta che è tale solo in apparenza, e proprio per quelle ragioni.
Oppure, ancora, potrebbe essermi mossa la critica incentrata sul fatto che siano stati proprio quelli che avrebbero potuto partecipare e decidere a determinare questa sorta di impasse della democrazia o a non dar il necessario sostegno nelle urne a quella che ritenevano essere la proposta a loro più vicina. Bene: e chi lo dice? La metà dei greci che non è andata a votare, ipoteticamente, avrebbe potuto votare come quella che invece ci è andata, disegnando un risultato con le identiche proporzioni, per quanto diverso nei valori assoluti.
No, credo che il tema non sia quello. Penso invece che il problema sia più radicale e profondo, dato che pure l’astensionismo è ormai endemico in questa Europa in cui tutto appare già deciso e indiscutibile. E siccome vivo da questa parte del mare, provo a chiedermi cosa farò alle prossime elezioni, quando ci saranno. E mi rispondo: cosa potrebbe mai cambiare, in un caso o nell’altro?