Questione di share, come per Sanremo

L’edizione annuale del festival della canzone italiana ha raggiunto picchi del 50% di share, quasi la maggioranza assoluta. Quindi è piaciuto alla maggior parte degli italiani? Vuol dire che il nostro Paese è sempre quello canterino e felice, con l’utilitaria giù di carrozzeria e con lo smartphone che ha sostituito l’autoradio nella mano destra? Sì e no: la faccenda è un po’ più complicata.

Innanzitutto, a guardare Sanremo sono state 10-12 milioni di persone, altrettanti guardavano altro, quasi il doppio della somma di questi e quelli aveva la tv spenta. E pure dove era accesa e sintonizzata su quanto accadeva all’Ariston, non sappiamo se fosse realmente guardata e se quello che andava in onda incontrasse la soddisfazione di chi eventualmente vi buttava l’occhio, o sarebbe meglio dire l’orecchio.

In quei giorni, come spesso accade, sugli altri canali non c’era nulla di entusiasmante, e poi si sa, le canzonette le cantano un po’ tutti, anche se non è detto che piacciano tanto quanto son cantate; sarà capitato anche a voi di avere una musica in testa, pure se, potendola scegliere, l’avreste cambiata? Ecco, per la politica, pare si stiano mettendo in fila una serie di circostanze per cui un soggetto sulla scena rischia di essere come il festival di Sanremo: senza rivali adeguati, a cui tutti possono guardare perché per nessuno è inguardabile, e che canta e fa cantare una melodia conosciuta e ripetuta da chiunque, che però, potendo, la si sostituirebbe tranquillamente sostituita con un’altra. E a quelli a cui non piace, non rimane che spegnere il televisore.

Va bene, potrebbe dirmi qualcuno, ma seppure non è il massimo, è pur sempre democratico il sistema e quindi, se rimane così, con un unico e solo attore protagonista sulla scena, non è un gran danno e, soprattutto, non è un problema; altrimenti, ne nascerebbe un altro. Di nuovo, anche in questo caso, sì e no: la faccenda è un po’ più complicata.

L’osservatorio sulle disuguaglianze economiche e sociali Inequlity Watch ha stilato un rapporto, basandosi su dati Eurostat, dal quale risulta che il nostro Paese è al nono posto fra i 28 dell’Ue per popolazione costretta a vivere in situazioni di grave deprivazione materiale. Stanno peggio dell’Italia solamente la Grecia, Cipro e molti dei Paesi dell’ex blocco d’oltre cortina, tenendo presente che l’Estonia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Polonia stanno meglio.

Da quelle rilevazioni emerge che quasi un italiano su cinque, il 19,1%, ha problemi a scaldare la propria casa, il 27,3 vive in condizioni di sovraffollamento, il 51 non può fare vacanza di una settimana, il 40,4 non è in grado di affrontare spese impreviste. Ma c’è di peggio: più di quattordici nostri connazionali su cento non possono contare su un pasto a base di carne o pesce ogni due giorni; in questo, stiamo anche peggio della Grecia.

Mi chiederete: e che c’azzecca questo con il discorso di prima. Nulla, forse. O magari tutto. Perché penso che, quando quei dati salgono, salgano pure quelli di quanti, in tali condizioni, dal sistema si sentono esclusi. E quindi, rinuncino a essere contati da un meccanismo per il quale loro, a tutti gli effetti, contano sempre meno. Sono quelli con la tv spenta nell’esempio di Sanremo, anche se forse quello l’hanno guardato.

Certo, per i governanti sinceramente democratici, il chiamarsi fuori può voler dire che non si sia interessati a partecipare. E poi, francamente, per alcuni rappresentanti, non doversi farsi carico di quella rappresentanza può essere un sollievo. Infine, con la crisi, lo Stato ha dovuto ridurre le risorse per tutti; impossibile, in una simile congiuntura, evitare che quei dati non crescessero.

Se questa riduzione può mettere a rischio il sistema, tanto vale ridurre pure le occasioni di far parte di quello stesso sistema. Meglio, allora, se tali occasioni vengono meno per rinuncia autonoma dei potenziali partecipanti: minori sono le istanze presentante, minori saranno i problemi incontrati nel rispondervi. Chi non vota, o non guarda Sanremo, non può lamentarsi delle canzoni suonate.

Un solo dubbio: siamo proprio sicuri che queste chiusure e questo continuo ignorare quelli che stanno sotto la linea di galleggiamento della nostra democrazia sia utile, o non possa invece ingenerare problemi di tenuta sociale, coesione e condivisione diffusa e reale dei princìpi e delle regole dello Stato? Peraltro, nel caso, come dar torto agli ultimi e agli esclusi.

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