“Mi chiede se questa è una tragedia annunciata?”, s’interroga e risponde Giusi Nicolini in una conversazione con Carlo Lania, per il Manifesto a proposito dell’ultima, ma solo in ordine di tempo e solo fino a oggi, strage nel Canale di Sicilia. “Non lo so. Certo togliendo Mare nostrum era previsto che sarebbero aumentati i morti. L’accusa alla Marina militare era quella di far aumentare gli arrivi dei migranti, quindi dei vivi”.
Nelle parole della prima cittadina di Lampedusa c’è tutto il senso del risultato obbligato di politiche cieche. Quando si dice che bisogna limitare l’arrivo dei migranti, e si perseguono decisioni in questo senso, si intende l’arrivo dei vivi. Perché i morti si contano, ma non sono conteggiati nelle statistiche di quanti vivono nel nostro Paese senza esserci nati, clandestini o regolari che siano. E se sostituisci un’azione di soccorso in mare aperto con una di difesa delle frontiere, e arretri la tua linea di intervento, sai che guarderai affondare i barconi, come sai che potrai limitare il numero di chi approda, non quello di chi salpa spinto da motivazioni dure come i loro antichi nomi: fame, guerra, carestia.
Ci spiegheranno ancora che la colpa è “dell’Europa”, lontana e matrigna, che “lascia morire i bambini”, tacendo se mai dovessimo chiedere: “l’Europa chi?”. Ma sapremo la verità, come la sa chi tutti i giorni guarda i volti e gli occhi di quelli che arrivano, e i corpi e i resti di quelli che affogano. Ancora Giusi Nicolini: “o ci pensiamo noi, o comunque loro arriveranno, vivi, morti, annegati, morti di freddo, morti di fame, loro vengono”.
O pensiamo a corridoi umanitari e pure a campi profughi lungo le coste nordafricane, oppure ci giriamo dall’altra parte, inneggiando al totem della sicurezza fuggendo il tabù degli sbarchi, rilassandoci in quella “globalizzazione dell’indifferenza”, come la chiama il Papa, figlia della cultura del benessere intesa quale pratica esclusiva e totalizzante dell’interessamento alle questioni del proprio ombelico.