Non c’è altra possibile spiegazione: sbagliavamo nel marzo del 2002, a contrastare la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Berlusconi e dal ministro Maroni. Quella fortemente sostenuta, allora come ora, da Sacconi, e quella contro cui ci mobilitammo tutti, con i sindacati e i partiti e i politici di sinistra, fino alla grande manifestazione del Circo Massimo.
Evidentemente, molti di quei politici che all’epoca erano lì, penso a Damiano, per dire, ma anche diversi sindacalisti, come Epifani, per esempio, ritengono che quell’azione di contrasto ai desiderata del governo di centro destra fu un errore. Altrimenti, non si spiegherebbe per quale motivo, adesso che tocca a loro decidere, siano proprio essi a realizzarli, e a dare a questi forma di legge.
E con loro, immagino, la pensano così anche tutti gli esponenti della nuova classe dirigente del Pd guidato da Renzi, soprattutto quelli che provengono da sinistra, visto che in quelle parole e con quelle battaglie ideali hanno costruito le proprie carriere e posizioni.
Vabbè, così doveva andare. Soprattutto, diciamoci la verità, è legittimo cambiare opinione. Il problema, semmai, è mio. Nel senso che, non avendo io capacità di divinazione, non riesco a stabilire prima quali poi saranno le opinioni successive di chi dice una cosa ben precisa nel momento in cui mi chiede il voto.
Cioè, se mi si dice che un passo fondamentale dell’azione politica sarà tesa a “contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro”, come recitava il programma della coalizione per cui ho votato (perché su quello abbiamo votato, no?), non posso poi sapere che, una volta eletti e chiamati a decidere, gli stessi che prima quello promettevano, poi facciano il contrario.
Per non sbagliare, quindi, l’unica soluzione sarebbe non crederci: almeno, ci si eviterebbe la delusione. Oppure, seguire l’esempio dei due terzi degli elettori emiliani. Alla fine, che cambia? Chiunque vinca, intendo.