Magari sono solo dettagli, però…

Sempre più spesso, mi imbatto in persone che commentano quello che scrivo o che dico a proposito dell’attualità politica con interrogativi del tipo: “ma se sei del Pd e l’hai votato, perché lo critichi? Non dovresti essere leale col tuo partito? Sostenerne l’azione e difenderne le idee, non sarebbe un tuo dovere?”.

Chiaramente, non sono domande sbagliate. Ma, se chi me le rivolge continuamente mi permette la franchezza, ritengo che, forse, errata sia l’ottica da cui muovono.

Per esempio, essere “di un partito” non vuol dire affatto mettere da parte le proprie facoltà di giudizio e valutazione e sposare acriticamente quanto quello o, meglio, chi pro tempore è chiamato a dirigerlo fa e decide. Anche perché, dicendogli sempre di sì, non si fa un buon servizio a loro e all’organizzazione che guidano: gli yes men non sono un bene, soprattutto per quelli a cui quei “sì” li dicono.

Sulla lealtà, il problema è che proprio essendo leale non posso fingere di pensare quel che non penso. Anche qui e semplificando, ho ritenuto un errore sostenere le larghe intese indipendentemente dal fatto che le guidasse Monti, Letta o Renzi, perché, lealmente, ritenevo e ritengo sbagliato lo schema che, inevitabilmente, porta a decisioni sbagliate. Chi invece mi accusa di slealtà nei confronti del partito, spiegava e spiega che il comportamento leale è quello di sostenere Monti, poi Letta e ora Renzi: con la medesima lealtà, immagino, quella che fa tagliare l’orecchio ai non credenti e rinnegare il messia che si diceva di difendere con la vita prima che canti il gallo.

E poi, credo che l’errore sia scambiare la lealtà fondata sulla condivisione d’un orizzonte politico con la fedeltà apparente, e magari costruita sulla prospettiva d’un percorso in politica, di gruppo o individuale.

Infine, è sacrosanto il principio per cui, se si sta in un partito, se ne difendono e sostengono idee e azione. Ma se l’una e le altre coerentemente cercano di coincidere, non se praticamente ci si ostina a farle divergere.

Perché, forse sbaglio e magari sono solo dettagli, però io non ho votato il Pd per vederlo alleato con il centro destra, vecchio o nuovo non cambia, dato che nomi, volti, prìncipi e princìpi sono gli stessi. Invece, questo è ciò accade dagli ultimi tre governi a questa parte, promette di durare per i prossimi anni e viene esteso a scale e contesti diversi, dall’Europa alle Province, in un mondo alla rovescia in cui diventa dissidente chi cerca di rimanere sul lato delle cose che si dicevano e non chi siede dove le sue parole l’han condotto facendo quel che ieri con le stesse condannava, e probabilmente tornerà a condannare anche domani.

Certamente, non era per precarizzare ancor di più il lavoro, togliendo il vincolo di causalità per il ricorso al contratto a termine e l’obbligo di assunzione per chi ne abusa, che si chiedevano i voti nel febbraio del 2013, né per immaginare nuovi sostegni pubblici per le scuole private o per cambiare la Costituzione in modo da disegnare un primato dell’esecutivo che contestavamo quando a parlarne era Berlusconi. Non pensavamo che fosse per dar battaglia ai sindacati insieme con Sacconi che sostenevamo il progetto di Italia, bene comune, né per avere Alfano ministro, dopo quello che abbiamo detto sulle leggi ad personam, o Lupi alle infrastrutture, dopo gli anni di opposizione al dominio di Formigoni e Cl in Lombardia. Non parlavamo di alternativa per realizzare leggi sulla casa che fanno la guerra ai poveri più che aiutare a combattere la povertà, espellendo gli occupanti senza titolo di immobili vuoti dal novero degli aventi diritto di cittadinanza, né per sostenere un Governo i cui ministri festeggiano il plus di una Frontex che si promette di voltare le spalle a chi muore nelle acque internazionali o di essere in maggioranza con chi ritiene malattia un orientamento sessuale diverso dal proprio e criminale la decisione di un giudice che riconosce il principio di maternità al di là delle medievali paure di onorevoli a parole.

Almeno non credo; di sicuro non io. Ma tutto ciò sembra normale, e mentre si spiega che non ci sono alternative, si bruciano e cambiano proprio quelle alternative divenute obbligo e ultima risorsa possibile nel vano avvitarsi su di sé di una politique che ormai è sempre più, e solamente, politicienne.

Sono amareggiato, deluso, sfiduciato? Un po’ di tutto, lo ammetto. Ma sono anche curioso. Sì, curioso: di ascoltare con quali parole spiegheranno l’alternativa quelli che l’han data per spacciata, praticando con soddisfatta convinzione l’alleanza con chi, di nuovo, si additerà come l’altro da sconfiggere, accreditandosi, ça va sans dire, come gli unici campioni e paladini possibili per la tenzone politica, legionari del partito e soldati della causa.

Questa voce è stata pubblicata in libertà di espressione, politica e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

4 risposte a Magari sono solo dettagli, però…

  1. Pingback: Le cose sono un po’ più complesse di così | [ciwati]

  2. hank bukowski scrive:

    Caro Rocco, ti lascio questo commento pur sapendo che ti sarà indifferente, se mai lo leggerai. Ma lo lascio lo stesso, come si fa con le scritte sui muri, giusto per il diletto dei passanti.
    Come sai ti stimo molto e conosco il tuo acume politico. Ciò nonostante ritengo la tua visione dell’appartenenza partitica alquanto dogmatica. Certo, quando si abbraccia una “fede” religiosa, si accettano anche i suoi dogmi, i suoi precetti e persino i suoi tabù. Ma la fede politica è un’altra cosa. La politica non ha nulla di trascendente, non si origina dal sacro, e tanto meno si configura come metafisica. Dunque, l’adesione ad una dottrina politica si giustifica solo su base logica, per cui la scelta di un partito (un partito vero, intendo) è la naturale conseguenza di un’appartenenza ideale, progettuale, utopica (anche).
    Ora, nel tuo ragionamento manca l’incipit, la ragione fondante, cioè, della tua scelta di parte, ovvero lo svolgersi di un ragionamento politico che si dipana da una analisi e infine approda ad una tesi.
    C’è, invece, la vistosa rappresentazione dell’appartenenza come effetto di una necessità antitetica, il che contraddice chiaramente il presupposto della tesi.
    Ma, come tu sai, nella dialettica hegeliana, la tesi e l’antitesi si risolvono, come momenti astratti, nella concretezza di una sintesi superiore. Ed è proprio questo che a me sfugge: ovvero dove esattamente tu collochi la “sintesi superiore”, all’interno del Pd, per cui valga la pena d’immolarsi.
    Non è sufficiente dire: non c’è altra alternativa. Perché l’alternativa, in politica, non è una categoria merceologica che si può acquistare a confezioni, quanto una argomentazione scientificamente coerente che dimostra la “verità” contro altre proposizioni contrarie. Ed è intorno a una argomentazione alternativa, dunque, che può originarsi uno schieramento politico organicamente contrapposto alle tesi altrui.
    In altri termini, un pensiero alternativo conduce a una proposta alternativa che può essere realizzata solo da uno schieramento alternativo. Quindi, per semplificare, l’ipotesi è che tu stia nel Pd per superare il Pd. Il che mi sembra un paradosso, il cui esito conduce a ritenere la tua scelta un’antinomia classica.
    Infatti il Pd è intrinsecamente organizzato per depotenziare ogni possibile alternativa a se stesso, essendo una holding in cui può certamente cambiare la maggioranza degli azionisti, senza che questi possano mai mettere in discussione la ragione sociale della holding stessa. E’ la concezione liberista applicata ai partiti.
    Sperare di scardinare questo meccanismo perverso utilizzando il meccanismo stesso è un ossimoro.
    Ma non ti voglio tediare troppo. Ci siamo in-tesi. Pur rimanendo ognuno nel fortino della propria tesi.
    Affettuosamente, Hank.

    • Giuseppe scrive:

      Oggetti misteriosi.
      caro Hank,
      bisognerebbe, all’inizio di ogni ragionamento, in qualsiasi campo, definire in maniera sufficientemente precisa, non importa se frutto di una particolare visione, che cosa sono , o che cosa si intende per, anche convenzionalmente, gli oggetti , gli elementi, i concetti del ragionamento.
      Per cui, in politica, dovremmo sempre all’inizio fornire una definizione di che cosa è il PD. Ed allora capisci che la piu’ parte di noi si fermerebbe qui.
      Fraterni saluti giuseppe da udine

  3. Giuseppe scrive:

    “ma se sei del Pd e l’hai votato, perché lo critichi? Non dovresti essere leale col tuo partito? Sostenerne l’azione e difenderne le idee, non sarebbe un tuo dovere?”. –
    Anche a me rivolgono questa domanda ed io solitamente rispondo :”se sono del PD, significa che il PD è anche un poco mio”. O no ?

Lascia un commento