L’eccesso di pessimismo in cui rischiamo d’affogare

Da meridionale di mezz’età, comprendo la scaramanzia e fa parte del mio approccio usuale alle cose del mondo. Però, l’eccesso, anche di questa, non ricade all’interno del mio modo di guardare il mondo. E sebbene si parli di malattie, e quindi la prudenza in facili ottimismi si raddoppi nel mio approccio, qui si esagera con moltiplicatori di scenari negativi di mille e mille volte più consistenti. E sinceramente, persino preoccupanti e inspiegabili.

Scavallate le idi di giugno, in cui tetri scenari prevedevano fino a 151 mila ricoveri in terapia intensiva, se si fosse proceduti a una riapertura totale già dal 4 maggio, i dati che si registrano suonano note che si fatica a inserire nel salmodiare triste dei tanti profeti della fine d’ogni cosa, che ripetono il «poenitentiam agite» che fu del Matteo evangelista e risuonò in ben più oscuri momenti. Leggo dagli aggiornamenti del Ministero della Salute: 6 giugno, ricoverati con sintomi -299 (totale 5.002), in terapia intensiva -23 (totale 293), guariti +1.297 (totale 165.078); 7 giugno, ricoverati con sintomi -138 (totale 4.864), in terapia intensiva -6 (totale 287), guariti +759 (totale 165.837); 8 giugno, ricoverati con sintomi -135 (totale 4.729), in terapia intensiva -4 (totale 283), guariti +747 (totale 166.584); 9 giugno, ricoverati con sintomi -148 (totale 4.581), in terapia intensiva -20 (totale 263), guariti +2.062 (totale 168.646); 10 giugno, ricoverati con sintomi -261 (totale 4.320), in terapia intensiva -14 (totale 249), guariti +1.293 (totale 169.939); 11 giugno, ricoverati con sintomi -189 (totale 4.131), in terapia intensiva -13 (totale 236), guariti +1.399 (totale 171.388); 12 giugno, ricoverati con sintomi -238 (totale 3.893), in terapia intensiva -9 (totale 227), guariti +1.747 (totale 173.135); 13 giugno, ricoverati con sintomi -146 (totale 3.747), in terapia intensiva -7 (totale 220), guariti +1.780 (totale 174.865); 14 giugno, ricoverati con sintomi -153 (totale 3.594), in terapia intensiva -11 (totale 209), guariti +1.505 (totale 176.370); ieri, fatidico 15 giugno, ricoverati con sintomi -105 (totale 3.489), in terapia intensiva -2 (totale 207), guariti +640 (totale 177.010).

Tutto questo ci autorizza a festeggiare la fine dell’epidemia? Certamente no. Ma dal non rilassarsi e correre ad abbracciare tutto e tutti al deprimersi all’infinito perché «appropinquavit enim regnum caelorum», per dirla col Vangelo di prima (e se così fosse, amen, e a poco o nulla varrebbero le ipocondrie individuali e le isterie collettive), ce ne passa. Pure perché, non so come dire, ma questa forma di pessimismo al di là della ragione, rischia di essere una profezia che si auto avvera, se non proprio per quanto riguarda la malattia, almeno sul tema del male che, per effetti collaterali, essa arreca.

Insomma, abbiamo detto dal primo giorno che la pandemia non sarebbe stata una questione esclusivamente medica, ma anche sociale ed economica. Per questo, la depressione che ci spinge a dare un giro più stretto all’elastico della mascherina, a indicare al pubblico scandalo chi non si mortifica da solo per non portarla quando non è costretto, da norme o situazioni, a farlo, a vedere l’avvicinarsi dell’eterno tramonto solo perché qualcuno ha starnutito troppo d’appresso a qualcun altro, proprio su quei due corni (a proposito di scaramanzia) del problema rischia di scaricarsi.

Con effetti, dicevo e temo, potenzialmente peggiori del contagio stesso.

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