Proprio perché sono convinto che quelle misure abbiano funzionato

Tra i pochi commenti da parte dei miei 25 lettori, uno trovato su questo blog, e relativo al post dell’altro giorno, mi ha non poco stupito: «Non sarai mica fra quelli che negano che il virus esista, e che mettono in dubbio l’importanza delle misure di contenimento della sua diffusione consigliate da virologi e medici e disposte dai governi di tutto il mondo?». Mi ha stupito, dicevo, e non tanto per il tono della critica, misurato e gentile, quanto proprio per il contenuto della stessa.

Voglio chiarire a chi ha lasciato quel commento e ad altri: come potrei negare l’esistenza di una pandemia che ha colpito e sta colpendo il mondo intero, e che lutti e sofferenze dissemina nel suo cammino? Sarebbe folle il solo pensarci. E come potrei mettere in dubbio che le misure adottatte, dal distanziamento sociale al lockdown di tutte le attività sociali ed economiche non indispensabili, abbiano funzionato? Solo un cretino non si renderebbe conto della loro importanza, quando la virulenza del contagio era da arginare in tutti i modi possibili. Ma è proprio perché sono convinto della loro efficacia che mi chiedo perché si abbia così tanta paura anche solo di pronunciare le parole «ritorno alla normalità».

Se dovessimo passare tutta la vita che ci rimane dinnanzi con la bocca tappata a nascondere sorrisi e commozioni, lontani gli uni dagli altri per paura che lo stare insieme possa costringerci a un malattia solitaria, come se per molti questa, la solitudine, non fosse già in atto, se per paura di morire a causa di un morbo rinunciamo addirittura a vivere, nella pienezza del confronto col possibile che questo significa e comporta (e senza voler scomodare l’esistenzialismo), allora non solo metteremmo in dubbio l’efficacia di quelle misure necessarie, e per alcuni dolorose, ma le vanificheremmo, rinunciando del tutto ai motivi per cui si è deciso di prenderle e rispettarle: ritornare a godere pienamente delle nostre libertà, seguire i nostri sentimenti, ascoltare i nostri affetti.

Di questo parlavo e parlo, non di altro.

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