Come usciremo, da questa cattività?

«Quando sarà finita, come cambierà la nostra vita», chiede Fiorenza Sarzanini ad Angelo Borrelli, in conclusione della sua intervista per il Corriere della Sera in edicola il primo aprile. E lui, che quando, poche domande prima, gli era stato chiesto se fossimo o meno al picco dei contagi da Covid-19 s’era trincerato dietro un «le analisi della curva epidemiologica spettano agli scienziati», qui non lancia la palla nel campo delle tecniche e delle competenze specifiche. È un essere umano, e sa che può rispondere a quella domanda. E lo fa bene, a mio giudizio: «Temo che ripercorrere quel metro che oggi ci separa sarà molto difficile: con le necessarie pratiche di prevenzione ne abbiamo interiorizzato anche paure ed ansie, dovremo essere abili a riavvicinarci all’altro gradualmente, senza perderne la fiducia, coltivando la tenerezza. Mi auguro che possa riemergere un sentimento di comunità e che il bene comune torni ad avere la giusta quota di attenzione e di cura. Sarà la condizione indispensabile per dare un futuro di speranza alla nostra gente e soprattutto alle generazioni future».

Le parole del capo del dipartimento per la Protezione Civile sono perfette. Ed è quella, dal mio punto di vista, la sfida più importante che avremo davanti, in un domani spero prossimo a venire. Perché, in molti aspetti, eravamo un popolo già incattivito: come usciremo da questa cattività necessaria? Se lo sta chiedendo, chi prende le decisioni e dice che nemmeno i bambini possono uscire di casa, ormai da molto più di un mese in alcune zone del Paese, neanche per un’ora? Va bene, il Governo fa le sue valutazioni su indicazione del comitato tecnico-scientifico. Chiaro. In quel consesso, ci saranno medici, virologi, immunologi, persino esperti di statistica, immagino. Ma c’è lì uno psicologo, un sociologo, un filosofo, anche. Perché è di esseri umani, società complesse e creazione e diffusione di pensiero ciò di cui stiamo parlando, quando si decide di chiudere in casa un’intera popolazione a tempo indeterminato.

«Sono separata e l’altro giorno», si legge in uno dei racconti raccolti dall’Ansa e pubblicati dall’Huffington Post, «ho accompagnato i bambini dal padre, ci siamo fermati pochi minuti nello spazio verde sotto casa, non recintato, e in un attimo diverse persone si sono affacciate urlandoci insulti di ogni tipo dai balconi, i bambini si sono spaventati, soprattutto quando sono partite le minacce di chiamare la polizia, che poi è pure arrivata. Che dire? Poveri poliziotti, erano più imbarazzati di noi, ci hanno chiesto gentilmente di andare a casa per quieto vivere, ma si vedeva quanto fossero dispiaciuti. Poi la sera ho scoperto che le stesse persone che ci hanno urlato contro ci hanno ripreso e buttato in pasto sui social, senza nessun rispetto nemmeno per i bambini, che si vedono benissimo. Quando ho letto i commenti sotto il video sono andata a farmi una doccia, per poter piangere senza che i bambini se ne accorgessero. Uscirò ancora con loro? Sì, perché una passeggiata li aiuta a essere un poco più sereni, ma ho tante amiche che hanno deciso di non farlo per paura».

Dicevo: se lo stanno chiedendo cosa ci sta facendo questa quarantena, quelli che poi decidono?

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