Solo io vedo il controsenso?
Durante l’evento bolognese Villaggio Coldiretti, i responsabili dell’organizzazione agricola hanno manifestato tutta la loro preoccupazione per i possibili dazi sulle produzioni italiane voluti dall’amministrazione statunitense, in particolar modo sul Parmigiano e sul Grana. Dopo la Francia, hanno spiegato i dirigenti dell’associazione, quello americano è «il secondo mercato estero per il Re del Formaggio su cui Trump minaccia di applicare un dazio pari al valore del prodotto importato. Ciò significa che la tassa passerebbe da 2,15 dollari a 15 dollari al chilo, facendo alzare il prezzo al consumo fino a 60 dollari al chilo. A un simile aumento corrisponderà inevitabilmente un crollo dei consumi stimato nell’80-90% del totale, secondo il Consorzio del Parmigiano Reggiano».
I timori dei produttori caseari padani li comprendo tutti. Un po’ meno la logica sottesa alla cultura della stessa Coldiretti. Mi spiego meglio: da anni, ormai, quell’associazione sposa l’idea del consumo di prodotti cosiddetti «a km0». Questo, dicono, per abbattere gli sprechi, ridurre il peso sull’ambiente dovuto a trasporti e altre incombenze logistiche e, ovviamente, sostenere localmente le varie filiere produttive. Bene. Ora, però, l’idea che noi si possa consumare esclusivamente i prodotti del territorio e gli altri debbano continuare ad aprirsi al mercato globale è quantomeno in sé contraddittoria, non credete?
E non c’entra il fatto che io, tra una fetta di pecorino e un’intera forma di cheddar (perché è un formaggio, vero?), non avrei dubbio alcuno. C’entra, al contrario, la visione stessa che di consumo, di prodotti agroalimentari e in generale, si vuole far passare. Nella logica che vede il km0 come soluzione percorribile, l’ipotesi che un sempre crescente numero di forme di Parmigiano e bottiglie di Valdobbiadene varchino gli oceani e solchino i cieli dovrebbe essere una buona notizia. Viceversa, se è all’esportazione che si punta, e quindi è un mercato globalizzato e senza dazi che si vuole, si deve accettare la circostanza per cui altre produzioni finiscano sulle tavole trevigiane o parmensi.
In sostanza, se vuoi vendere all’estero, prima o poi dovrai pur comprare. A dispetto di ciò, qui da noi e dappertutto, si vorrebbero gli altri solo come piazze d’accesso per quello che facciamo noi, pronti a sborsare quello che chiediamo per le cose che vogliamo vendere. Mentre, quando sono quegli stessi altri a cercare di fare altrettanto, storciamo il naso, invochiamo barriere, minacciamo, appunto, dazi e balzelli.
Solo io vedo il controsenso?