Se c’erano i fascisti alle porte, non potete dire che s’è andati di fretta

Non mi piace per nulla la politica fatta di corsa, che ormai da almeno un trentennio sembra essere l’unica possibilità data. Vorrei tempi lunghi e lenti, poter cercare le parole e le idee, prima di passare all’azione, al provvedimento di governo o alla norma. Per esempio, a questo mutato scenario che la nuova maggioranza disegna avrei preferito si fosse arrivati dopo un percorso di discussione e analisi ponderato e grave, come il passaggio meritava, e non che, in un paio di settimane, si passasse in souplesse dal #senzadime al «vengo anch’io». Eppure, tant’è.

Quelli che però proprio non riesco a capire del tutto sono quanti, intellettuali e opinionisti, fino a ieri e per un anno e mezzo hanno ripetuto il loro «fate presto, che i fascisti son già sul raccordo», e che oggi, a cose fatte, spiegano che l’amalgama di governo non è pienamente riuscita perché si è andati «di fretta», e quindi, per questi grumi che intravedono e senza chiarire cosa ne sia stato del nero periglio che avvistavano a poche miglia dalla riva, debba, assolutamente e completamente, essere avversata e contrastata.

Limite mio, per carità, però sto sulle domande semplici. O i nazisti stavano per prendere del tutto il potere, e allora non c’era tempo da perdere per metterli alla porta, oppure si poteva far decantare la situazione nel migliore dei modi possibili, con tutti i passaggi e le elaborazioni culturali necessarie a renderla un’operazione degna delle migliori stagioni della storia politica. Altrimenti, non capisco.

A meno di non provare a stare un po’ tutti sul terreno che è dato, e cercarla di vedere in un altro modo. Nel definire senza apportare le dovute distinzioni «fascista» chi sedeva al Viminale fino a ieri, si fa un torto a gente come Matteotti, che pagò con la vita il dissenso e il suo essersi opposto al ministro dell’Interno di allora, nonché capo del Governo. Nondimeno è vero che, con i modi e le parole, proprio il leader leghista stimolava una certa esacerbazione dei toni, nel dibattito politico e nel discorso pubblico, con le conseguenze peggiori che abbiamo visto, e che inaccettabili erano le sue ritorsioni sui disperati in cerca di approdi sicuri, tenuti in balia delle onde del mare e delle orde sui social per squallide ragioni di propaganda e consenso.

Pertanto, era ed è meglio che lui non sieda più dove stava fino a quando, vinto dall’ὕβϱις o sedotto dalla sua stessa immagine in vacanza, non ha deciso di dar fuoco alle polveri che han fatto saltare la maggioranza di cui era parte. Il fatto è che, come dicevo all’inizio, è da anni che questa politica si muove di fretta, leggera e senza voglia di approfondimenti; per questo, tutti i torti a quelli che han visto nell’errore del truce leghista un’occasione irripetibile e da cogliere al volo per disarcionarlo non riesco a darli.

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