Si può sostenere un governo anche senza esserne parte

Mi sono divertito trovando sul noto social un retweet della Ascani fatto da Scalfarotto in cui, entrambi, sostenevano la contrarietà all’alleanza con il Movimento 5 Stelle, condendo il tutto col noioso hashtag di stantio sapore renziano #senzadime. Oggi, l’una è viceministra all’Istruzione, l’altro, sottosegretario agli Esteri, proprio con quel Di Maio che, fino a ieri, dalle loro parti si dileggiava. Cose curiose che accadono nelle dinamiche della quotidianità di chi della politica fa mestiere.

Io non ho nulla contro questa alleanza di governo, né sul concetto dell’accordo fra diversi: sono proporzionalista, mica penso che la mia parte, qualunque possa essere, debba ottenere la maggioranza assoluta dei voti per governare. Quello su cui discuto è il con chi ci si allea o, in questo caso, quanti e come decidono di far parte attiva dell’alleanza. In prima persona, ovvio. Cosa impediva all’Ascani o a Scalfarotto, dopo gli altisonanti proclami di diversità antropologica da quel partito di «destra, estrema», come lo definiva lo stesso attuale sottosegretario, «populista, xenofobo, privo di democrazia interna, incline all’aggressione (organizzata) dell’avversario politico», di sostenere questo esecutivo senza farne parte? Avrebbero potuto dire, come dicono, di farlo per l’emergenza che stiamo vivendo, ma senza necessariamente entrare nella squadra di governo. Perché han pensato che l’Italia non ce l’avrebbe fatta, senza un loro diretto e pieno coinvolgimento?

Sì, lo so: è facile parlare, per me che non siedo dove stanno loro. Nondimeno, potrebbero anche loro lasciare quei seggi, se davvero è tanto pesante il dovervi stare assisi in contraddizione del proprio pensiero di appena qualche mese, o giorno, prima. O almeno, se per lavoro fanno la politica – cosa per la quale nutro il massimo de rispetto – e sanno che, in quella, spesso si deve far ciò che fino a prima si sarebbe, in linea di principio, escluso, perché sempre essa è compromesso, mai verità rivelata, che ci evitino le ambiziose pose a cui conduce la pratica oratoria del «mai».

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