Non parlerò della crisi di governo finché non ne vedrò un altro e come sarà andata a finire. Non lo faccio per non sbagliare le previsioni, che comunque non farei, semplicemente perché lo spettacolo offerto dai protagonisti non mi appassiona; vedrò i risultati, quando e se ci saranno, e parlerò di quelli. Se ne avrò voglia, ovviamente. Un paio di cose, però, sento che è necessario dirle anche da un piccolo e poco seguito osservatorio come questo mio blog.
La prima: il Governo che nascerà, se nascerà, chiederà la fiducia al Parlamento. Se l’otterrà, andrà avanti, altrimenti, no. In tutti i casi, avrà la stessa, identica legittimità di quello che è ancora in carica per gli affari correnti. Chi parla di ribaltoni, tradimento della volontà popolare e bla, bla, bla, straparla. Nessun elettore italiano ha mai, mai, votato per un qualsiasi governo. Si eleggono dei parlamentari e questi, per cinque anni, decidono sulle possibili maggioranze a sostegno degli esecutivi. Difronte all’impossibilità di accordo nei due rami del Parlamento, il capo dello Stato può sciogliere le camere e ridare la parola ai cittadini. Chiederlo ogni volta che un sondaggio va bene per la parte a cui guardiamo, i ministri che ci sono non ci piacciono o qualche altra elezione è positiva per il nostro partito non ha senso. Si è votato lo scorso anno e due forze politiche che si erano combattute fino a un minuto prima hanno deciso di mettersi insieme e dar vita a un esecutivo; nessun elettore aveva votato per questa possibilità, ma era pienamente e istituzionalmente valida e perseguibile. Non è che si può decidere di tornare alle urne solo perché l’applausometro del Papete Beach, tra un mojito gelato e due cubiste discinte, galvanizza qualche leader divenuto tale per sottrazione.
La seconda: ma da dove viene lo stupore per l’interessamento esterno rispetto allo svolgimento della discussione politica italiana? Avete davvero tanta poca considerazione del Paese che avete guidato e vi candidate a guidare di nuovo da pensare che a nessuno interessi delle sue sorti? Pensate davvero che da fuori non ci guardino e non riguardi anche loro la sorte del “sistema Italia”? La serie di interdipendenze e collegamenti fa sì che quello che accade in uno Stato determini conseguenze pure sugli altri e ciò che avviene nelle istituzioni politiche si rifletta sul resto delle articolazioni sociali e produttive. Ecco perché i mercati, i sindacati, gli imprenditori, gli altri capi di Stato e di Governo provano a capire e, se e per come riescono, a dire la loro. Lo stupore è solo provincialismo, e il triste corollario dello slogan «padroni a casa nostra»; nessuno mette in discussione il principio della sovranità, ma gli altri, ovviamente, si regolano in conseguenza delle azioni messe in campo e agiscono in risposta a quanto viene tentato. È la realtà del mondo, bellezza!
E non ho altro da dire su questa faccenda.