Populisti col Rolex e droite caviar

«L’unica certezza […] è che il demone del lusso sfrenato, quando si trova in presenza dei leader populisti, riesce spesso a trovare terreno fertile». È perfido oltre il consueto Tommaso Labate, nel suo articolo sul senso dei populisti per le sfoggio di pecunia e la vita agiata che prende le mosse dall’affaire Strache che sta portando alla caduta del governo austriaco, scritto per il Corriere di lunedì scorso. Perfido, ma puntuale e preciso.

Lo è nel ricordare gli eccessi cafonal della lussuosissima vita del vate di tutti i populisti, quel Donald Trump da miliardario assurto a difensore del popolo oppresso, il soggiorno di Steve Bannon all’Hotel Bristol, dove la camera più economica costa 1.200 euro a notte, «e lui non ha scelto la più scarsa», le cene a 400 euro a testa organizzate dal partito di Marine Le Pen «al costosissimo Ledoyen di Parigi» e quella organizzata per lo scorso Natale dal gruppo parlamentare europeo dei sovranisti alle ostriche «da 13.500 euro e 230 bottiglie di champagne», o gli auguri fatti erga omnes dal garante dei cinquestelle un paio d’anni fa, proclamando, con le parole di Goffredo Parise, la povertà quale rimedio ai mali del presente, comodamente assiso sulle poltroncine d’un resort «a Malindi». Altro che comunisti col Rolex e gauche caviar; lo sperpero dell’opulenza in faccia alla miseria, se c’è, arriva dai populisti e dalla destra. Come d’altronde sempre è stato.

Anche l’arroganza da Marchese del Grillo (non Beppe, quello di Sordi) è tipica di quelle parti politiche, meno di altre. Fosse solamente per distinguersi, un raffinato intellettuale progressista nel suo studio in centro pieno di libri, più facilmente lo si immagina con un leggero e piccolo orologio dal cinturino in pelle che non con un vistoso e metallico manufatto della nota oreficeria coronata (se steste pensando di citarmi gli sgargianti segnatempo con bracciale di Che Guevara e Fidel Castro a smentire la tesi appena esposta, rischiereste, per curiosa eterogenesi dei fini, di confermarla). Così come per il caviale; il prototipo del bersaglio populista è oggi più facile trovarlo in un ristorante etnico o in una bottega di prodotti tipici “a chilometri zero” che ad acquistare e consumare pietanze ormai appannaggio quasi esclusivo di recentemente arricchiti oligarchi russi.

Battute a parte, la storia è piena proprio di leader populisti, come ricorda pure Labate nel suo pezzo, che preso il comando, e coi soldi del palazzo, si perdono nei lussi e nelle sfacciataggini d’una ricchezza non loro ma tanto, troppo a lungo bramata. Viceversa, non di rado sono i morigerati democratici forgiatisi nell’opporsi a questi che, giunti al potere, lo gestiscono con misura, rigirando il proprio cappotto o vestendo quasi sempre in puntuali grisaglie sottotono.

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