Nero? No, sempre e solo sfumature di grigio

Dice Luciano Canfora a Simonetta Fiori, per La Repubblica di ieri, lunedì 25 marzo: «a livello popolare incolto ha retto per decenni il luogo comune secondo il quale Mussolini era stato artefice di tante cose buone, peccato che avesse fatto la guerra. Mai nessuno che abbia detto: peccato per le leggi razziali. E oggi purtroppo vediamo traccia diffusa di questa rimozione. […] Il dramma di coloro che tornarono dalla colonia perduta finì per nutrire una sorta di revanscismo nostalgico. Ci siamo chiesti perché il Movimento Sociale diventò un partito popolare? E perché ebbe così grande successo l’Uomo Qualunque di Giannini? Nella nostra storia permangono ombre mai messe in chiaro. L’importante è esserne consapevoli».

Leggo le parole dello storico e penso ai versi del poeta. Pasolini, Gli Italiani: «Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai/ da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,/ un giudizio netto, interamente indignato:/ irreale è ogni idea, irreale ogni passione,/ di questo popolo ormai dissociato/ da secoli, la cui soave saggezza/ gli serve a vivere, non l’ha mai liberato». La saggezza, quella che sa che il manicheismo non spiega mai nulla di come sono e come vanno in fondo le cose del mondo, e che credere troppo in quel che si pensa rischia di far fuggire via il senno, in noi è diventata custode irata e carceriera crudele. Nelle cose della politica, se possibile, ancor più che nelle altre. In questo andare, il santo precetto del Cristo nel Vangelo di Matteo (5, 37) sul parlare per sì e per no definiti e definibili, non solo non viene portato alle sue estreme conseguenze – e giustamente, aggiungo –, viene accuratamente evitato dai molti «però» e dagli infiniti «ma». E tutto sfuma, tanto che il pericolo non è più nel nero che può ricomparire a ogni svolta della storia, quanto nel grigio che continuamente ne avvolge il suo farsi in questa terra.

Così, la vicenda di Mussolini ha pure lati positivi, e non solo nella fine per le caviglie a piazzale Loreto; il razzismo italiano in patria e nelle colonie c’è e c’è stato, ma meno degli altri; la mafia, certo, è una creazione del Belpaese, e la nostra emigrazione l’ha esportata in tutto il mondo, però, insomma, quelli che arrivano oggi non son migliori e anche loro hanno organizzazioni criminali mica da ridere.

Scivolando pian piano, fin forse ai limiti di cui azzardava il corsaro di Casarsa.

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