All’origine del fraintendimento

I preamboli non sono mai simpatici, ma in alcuni casi possono essere necessari. Lo diventano principalmente se il resto dello sviluppo del discorso rischia di prestare il fianco, o peggio prestarsi esso stesso, a fraintendimenti e letture parziali. Lo si deve all’idea che il medesimo ragionamento regge, e ancora di più a quelli a cui, in ipotesi o nel concreto, ci si riferisce. Per amore di chiarezza, diciamo, se non proprio per dovere d’esser franchi.

E allora, la premessa: sono contento che il Parlamento abbia finalmente dotato il Paese di una legge sul fine vita. Non c’è nessun però, né alcun ma; era fondamentale che avessimo un minimo di civiltà in quel campo, senza esporre quelli che già vivono il dramma personale al supplizio aggiuntivo di una discussione pubblica sul loro destino. Ecco, per tutto questo, ringrazio chi ieri in favore di quella norma ha votato. Quello che non capisco, sinceramente, è il senso di vittoria di parte che traspare nei commenti di molti esponenti, a vari livelli, del principale partito di maggioranza. E non perché quel tipo di provvedimenti poco dovrebbero c’entrarci con la sfera dell’esecutivo o perché quello nello specifico sia stato votato pure da forze di opposizione al governo. Perché, invece, quella stessa forza, dicendosi progressista, in leggi come queste vanta la propria patente di sinistra. Era già successo con le unioni civili o sul (molto meno “epocale”, me lo si conceda) divorzio breve, entrambi passi importanti e che, da cittadino, ho apprezzato, accade ancora adesso. Ebbene, amici del Pd, secondo me sbagliate coordinate. Essere di sinistra non si misura sull’impegno per le libertà individuali o i diritti civili; invece, quell’appartenenza si pesa sull’attenzione alla giustizia sociale e sulla tensione all’uguaglianza.

Credo che questo sfasamento fra il polo della geografia politica tradizionale e quello magnetico su cui sono tarate le bussole dei politicanti dell’oggi sia all’origine del fraintendimento che sempre più si avverte fra le élites di quella parte politica e il popolo a cui dicono di volersi rifare. E dello spaesamento che da questo poi deriva. Una differenza di interpretazioni che si traduce, e non potrebbe non farlo, in una difficoltà sempre crescente a comunicare, fino a una vera impossibilità di conoscenza reciproca, che sfocia infine in un disconoscimento reciproco, che ferisce le prime nella loro legittimazione e non lascia indenne il secondo, nella sua complessità di aspirazioni e aspettative.

Ovviamente, non è tutta e solamente una deriva del presente. Al contrario, essa ha alle spalle almeno mezzo secolo di storia contemporanea, nel quale la sinistra, dimenticato e sepolto l’afflato rivoluzionario e la pulsione a cambiare, radicalmente, lo stato delle cose e i rapporti di forza nel mondo, s’è gradualmente acconciata a divenire moderata, china sulla gestione di quell’esistente che tutto sommato, ai ceti sempre più espressione del centro urbano e che esprimono la classe dirigente di quei partiti, va bene così com’è.

E tornano alla mente – e come dimenticarli, nella loro lucidità lungimirante, quasi preveggente, si potrebbe azzardare se fossimo avvezzi ad argomenti di questo tipo – i versi di Pier Paolo Pasolini, da Serata romana: «Nel quartiere borghese, c’è la pace,/ di cui ognuno dentro si contenta,/ anche vilmente, e di cui vorrebbe,/ piena ogni sera della sua esistenza».

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2 risposte a All’origine del fraintendimento

  1. Fabrizio scrive:

    la macchina per decifrare enigma nel vecchio millennio; anagrammi di parole fisse e frasi nel nuovo millennio.

  2. Italiote scrive:

    https://en.wikipedia.org/wiki/Third_Way#Italy

    In Italia molte fazioni sono sincretiche (cioè “né di destra né di sinistra”) ed è possibile che in alcuni casi nessuna fazione riesca a vantare l’esclusiva di certe “etichette” con il consenso delle altre.

    Naturalmente le etichette in assenza di precisazioni spesso comportano differenze in “dettagli” sostanziali:

    Allo stesso modo in cui alcune dittature hanno dichiarato di servire gli interessi del popolo non credo si ricordi nessun personaggio che abbia mai annunciato di voler favorire l’ingiustizia sociale, nossignore.

    Sotto l’etichetta della “giustizia sociale”, come accade anche per altre etichette, la prassi dimostra una estrema eterogeneità di teorie: http://www.treccani.it/enciclopedia/teorie-della-giustizia_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

    In una democrazia con referendum abrogativi sono ammesse solo soluzioni consensuali: mettere in chiaro cosa “sinistra” non sia sia, può certo giovare a chiarire quanto sia lunga la strada per il consenso.

    Nella lunga attesa ben vengano dunque quelle cose “che non sono di sinistra” e magari ” non sono di destra” ma che MOLTI dicono sia meglio ad averle che farne senza.

    Erano cose così “facili” che ci sono voluti decenni su decenni. 🙁

    PS: Un consenso politico _trasversale_ sembrerebbe necessario garantire una sufficiente stabilità normativa evitando di alternarsi tra un opposto e l’altro (come quando si fanno seguire legislature di lotta all’evasione a legislature di scudi fiscali con effetti retroattivi)

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