La differenza, evidentemente, è nell’età

Non seguo il calcio, semplicemente perché ne capisco tanto poco che guardare un’intera partita mi annoia; di quelle più seguite, gli highlights nei tg sono più che sufficienti. Tanto, l’importante è sapere se ha vinto l’Italia o la Germania (a proposito: che han fatto?). Se a questi miei limiti di comprensione ci aggiungiamo qualche freno culturale, legato ai troppi, e per me ingiustificati, soldi che intorno a quel mondo girano, il mio distacco si fa quasi completo.

Ora, però, non ho capito il biasimo per quel ragazzone del Milan, Donnarumma, che pensa di lasciare la squadra per guadagnare di più in un’altra: non è da tempo quello il senso del tirare calci a un pallone per mestiere? Guadagnare di più sfruttando le occasioni migliori. Dov’è lo scandalo? Non ha cambiato team quell’argentino del Napoli, poi osannato nella Juventus? Non l’hanno sempre fatto in tanti? Sì, certo, qualche eccezione c’è e c’è stata, ma, appunto, eccezioni. Mi ha stupito, invece, non leggere la stessa indignazione, o almeno non con la stessa intensità, nella vicenda di quel conduttore da anni su RaiTre, Fazio, che, dopo aver detto con tono censorio che l’unico punto fermo nell’azienda che gli paga lo stipendio è il cavallo in bronzo all’entrata, si è visto portare il contratto a 11 milioni per i prossimi quattro anni. Meno male che i punti fermi non ci sono, verrebbe da dire, altrimenti varrebbe anche quello del tetto ai compensi nelle aziende pubbliche.

A poco servono le distinzioni per cui, siccome alla Rai ne fa guadagnare tanti, è giusto che ne prenda molti. Ci sono dirigenti scolastici e insegnanti che attivano e portano avanti progetti di recupero di alunni altrimenti dispersi che all’intera società fanno guadagnare molto di più di quanto possa fare per la tv pubblica un presentatore, ma non per questo gli viene riconosciuto nulla, né in denaro, continuando a guadagnare un centesimo degli emolumenti dati al conduttore con la barbetta, né in prestigio sociale, rimanendo, per tutti, «quelli che fanno tre mesi di ferie all’anno», cosa non vera, peraltro.

Eppure, della vicenda faziosa, nel senso di Fabio, non ho letto occuparsene i sagaci opinionisti dei caffè che un tempo auguravano il buongiorno, sempre pronti a stigmatizzare gli esosi compensi degli operari forestali, relegandoli alla voce «mazzette di Stato» (perché i borghesi sanno essere spietati), braccianti che in cento costano quanto Fazio da solo, tasse comprese e famiglie al seguito, o i precisi commentatori dai dondoli sdraiati, rapidi a condannare il populismo e lenti a stigmatizzare le ragioni di cui «quel coacervo di ostilità assortite» (elegante come definizione, no?) si nutre.

Una diversità di giudizio che deve spiegarsi evidentemente con la differenza d’età dei giudicati.

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