Meno male

Macron ha vinto: 65 a 35, grosso modo, sono un risultato chiaro. I ballottaggi spesso funzionano così, polarizzano, schiacciano e capita che l’esito sia senza ambiguità. Auguri alla Francia e a tutti noi. La paura Le Pen (per il momento) è passata e «il pericolo populista» pare essersi ricondotto a più moderate dimensioni; insomma, c’è, ma non è così spaventoso e potente come volevano spiegarci, soprattutto quelli che da tale spauracchio avevano tutto o se non altro tanto da guadagnare. D’altronde, lo già avevano dimostrato le tornate elettorali in altre parti d’Europa, a partire dall’Olanda.

Come dicevo nel titolo di questo post, meno male. Meno male letteralmente, nel senso che la vittoria della Le Pen sarebbe stato “più” male. Però, lo dico senza girarci intorno, non so se, nel caso fossi stato francese, avrei votato per Macron. Certo non per la candidata del Front National, ma il programma politico-economico di En Marche! un po’ mi avrebbe spaventato, e la prospettiva di un sostegno parlamentare dalla destra dei Républicains (cosa che temo probabile in seguito ai risultati delle politiche di giugno) non avrebbe contribuito a rassicurarmi. Alla fine, forse avrei potuto seguire il quarto di elettori che ha deciso di tenersi a distanza dalle urne. E qui si apre un punto di riflessione: in tanti (me compreso) hanno detto che la candidata all’Eliseo era interprete di una nuova forma di fascismo. Ora, non votando, come hanno fatto quattro cittadini dell’Hexagone su dieci e i milioni di elettori che han lasciato in bianco la loro scheda elettorale, equivale a smarrire i valori dell’antifascismo? E ancora, dandole direttamente il proprio consenso, come hanno fatto più di un terzo di quelli che si sono recati ai seggi, vuol dire che si è, direttamente o indirettamente, sostenitori di una risposta politica fascista ai problemi che il Paese vive? Non mi convince; fosse così, con quei numeri, le stato dei fatti sarebbe davvero drammatico. E io non so essere così pessimista da rassegnarmi al coro di un millenarismo elitario senza alternative.

Ripeto, la vittoria di Macron è il “male minore”, date le circostanze, e capisco il ragionamento fatto da quelli che l’hanno votato pur senza convinzione: meglio un liberista di un fascista. Però continuo a chiedermi da cosa nasca e di cosa si nutra quel sentimento che, al di là di come vogliamo chiamarlo, in Le Pen ha trovato la sua interprete migliore in Francia. Perché io credo che sia il frutto delle disuguaglianze crescenti, della reazione di chi fatica a far quadrare la propria vita dinanzi allo spettacolo del privilegio esibito dai più facoltosi, dall’insicurezza nei rapporti di lavoro che costringe a rivedere costantemente a ribasso le tutele per i più deboli nel processo produttivo, dalla collera per la banca che ti prende la casa mentre il governo la salva quando azzarda troppo, dall’odio per tutto ciò che sa di globalizzazione e che spazza via il lavoro della tua vita abbattendo il prezzo dei prodotti della terra che coltivi e sì, anche dalla stanchezza di chi vive a Saint-Denis nel sentir parlare di «accoglienza e integrazione» da quelli che vivono al Marais, e che nei loro quartieri non devono temere di dover competere per un alloggio popolare, per un banco al mercato, per una licenza di taxi, per un lavoro da pochi euro, per uno scampolo di assistenza sociale e sanitaria.

A sedare questa rabbia, questo livore che in alcuni strati e ambiti diventa vero e proprio odio, come quello del film di Mathieu Kassovitz del 1955 basato proprio sulle realtà periferiche parigine con un occhio puntato sulle dinamiche criminali e gli scontri fra bande e polizia, basterà un énarque colto e ben educato almeno quanto estraneo al conflitto sociale e alla lotta politica?

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