Anche le parole hanno imparato a tremare

Pure quella volta cadde. Dopo che le pietre di quelle che furono case si composero a disegnare figure non più riconoscibili, arrivò la neve. Come adesso è arrivata sulle macerie e in mezzo a esse, prima che la terra smettesse di muoversi. Anzi, pare quasi che l’una dell’altra sia alleata, nello spaventare gli uomini e nel ricordar loro quanto si possa ancora tremare, persino nel mondo e nell’epoca che sembra avere superato tutto e di ogni cosa abbia imparato a farsi beffa.

Sarà perché il primo ricordo a cui la mia mente è capace di dare luogo e tempo è quello di una casa scossa e di scale che non parevano voler star ferme, quando apprendo di un terremoto mi colgono diverse emozioni, a cui non sempre so dare nomi. E non riesco nemmeno a trovare parole per dire quello che provo ora. D’altronde, quali sarebbero i termini giusti per spiegare o provare a capire cosa significhi vivere da cinque mesi con una scossa ogni cinque minuti? Le stesse parole tremerebbero, semmai riuscissero a farsi strada fra i denti o nei tasti, come questi che sto battendo immaginando quanto possano fare con quelli le genti che qui tutte abbraccio.

Cadde la neve, sui caduti del 23 novembre del 1980. Cade la neve su quelli del 24 agosto e del 31 ottobre del 2016, e di nuovo di ieri. Cadono lacrime, lamenti e forze. È il tempo di tacere, scavare e pulire. Sperando che venga presto quello di ricostruire, parlare, capire cosa fare per non farsi, ogni volta, così male.

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