Mezzo mondo in sedici mani

La Cina è grande, per definizione. Poi viene l’India e a seguire, ma molto distaccati, gli Stati Uniti d’America. Bene, prendeteli tutti insieme, tutti i loro a abitanti, aggiungeteci il mezzo miliardo di cittadini di tutti i Paesi dell’Unione europea e ancora non avrete raggiunto la metà del pianeta. Vi servirebbe, per farlo, una nazione grande come il Brasile, e sareste a 3 miliardi e seicentomila esseri umani. Ora consideratele tutte queste moltitudini, immaginatele in fila, provate a figurarvene l’effetto: strepitoso, vero? Perfetto. Adesso, un ultimo sforzo: figuratevi quel mezzo mondo nella sua parte più povera e sappiate che tutti gli averi di una simile folla immensa corrispondono a quelli dei primi 8, otto, super-ricchi della Terra.

Nessuna esagerazione: secondo un rapporto dell’ong britannica che si occupa di economia sociale Oxfam, Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffet, Carlos Slim, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Michael Bloomberg possiedono una ricchezza pari ai 3,6 miliardi di esseri umani più poveri messi insieme. E, sempre secondo quei dati, la tesi per cui l’1% del mondo ricco abbia nelle proprie mani i medesimi beni del 99% rimanente è confermata. Io, che non sono mai stato bravo in matematica, non riesco neppure a cogliere il rapporto esatto della sproporzione fra le difficoltà dell’uomo più povero e i faraonici agi del più benestante, però anche ciò che è fuori scala dovrebbe avere in un certo qual modo “misura”. Qui, al contrario, siamo dinanzi al fatto che ognuno di quei nababbi ha disponibilità pari a quelle di circa mezzo miliardo di suoi simili, che tutto ciò su cui possono contare quasi quattro miliardi di esseri umani è contenuto nelle disponibilità di appena sedici mani.

Lì, in quella sregolatezza delle cose, sta la ragione, prima e ultima allo stesso tempo, di molti degli aspetti della realtà quotidiana che qui non vanno come dovrebbero. Lì è il senso delle migrazioni, lì il motivo dei morti per fame, lì la spiegazione pure delle guerre, dei conflitti, delle infinite e cruente lotte fra gli ultimi per spartirsi quello che rimane loro e che i primi non gli hanno già sottratto.

E avrei una voglia immensa di chiedere a quegli otto il conto per le sofferenze degli altri.

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