La Spagna, le elezioni e la realtà

Forse, prima di Natale gli spagnoli torneranno alle urne. Di nuovo. Per la terza volta in pochi mesi, a quei cittadini verrà chiesto da chi vogliano essere rappresentati, e loro, come hanno già fatto nelle altre due occasioni, risponderanno. Di nuovo. Solo che quelli poi deputati a rappresentarli non è detto che riusciranno a fare un governo, e potrebbero non mettersi d’accordo. Di nuovo.

Perché quello che accade in Spagna è tutto qui: si dice ai cittadini che si vuole eleggere un governo ma se ne chiede il voto per il Parlamento. Quelli lo danno e gli eletti, dopo, sembrano scoprire di essere “rappresentanti” e non “governanti”. D’altronde, però, la realtà di quella società è la stessa che le elezioni fotografano, un Paese in cui i gruppi di interesse e le classi sociali trovano la loro identificazione istituzionale non in una maggioranza e in un’opposizione, ma in tante, più o meno consistenti, minoranze. Ora, il punto è: si deve trovare “la quadra” fra i mandatari di quelle parti o si deve cercare di “quadrarne” la rappresentanza attraverso meccanismi e leggi elettorali?

Il tema del governo della res pubblica è certamente importante, nessuno vuole negarlo. Però, quando si vota in un sistema parlamentare, si eleggono i rappresentanti, non i governanti. Se quello è il sistema e quella la società che va ai seggi, certo con un artificio si può anche determinare una maggioranza solida dal conteggio delle schede, ma sempre e solo a scapito del rapporto fra società e sistema. Un po’ come accade oggi in Italia, dove, come sancito dalla sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale con cui si sono formate le Camere attuali, quel rapporto è stato «alterato per l’intero complesso dei parlamentari».

E poi, insomma, ci sarà pure qualcuno interessato più a chi lo rappresenterà di quelli che dovranno “governarlo”, non avendo esso esclusive esigenze da animale da cortile? Per esempio, a me dell’aspetto esecutivo interessa relativamente, mentre sono molto più attento a chi può farsi carico di portare nelle istituzioni le mie idee e i miei interessi. Se questa funzione è sacrificata sull’altare d’una misteriosa “governabilità”, prima di farmi soffocare in meccanismi forzanti dell’espressione del mio consenso, siano questi maggioritari di collegio o di lista, probabilmente troverei più saggio e interessante dedicarmi ad altro, e lasciare a chi ne ha tempo e voglia la briga di fingere di scegliere.

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