In quella che è poi passata alla storia come “l’ultima intervista”, concessa a Furio Colombo per l’inserto TuttoLibri de la Stampa nel 1975, Pasolini disse di avere “nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone”, e paura di quelli (“negri”, li chiamava, senza intenzioni razziste, ma perché prima aveva parlato dei padroni turpi, “col cilindro e con i dollari che gli colavano dalle tasche” e, immagino, volendo seguire un immaginario da ribellione cruenta degli schiavi contro il proprietario terriero) che si rivoltano, sì, però sono “uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo”.
Tanti altri predoni, che bramano tutto e a qualsiasi costo, uguali al padrone, cioè non contro il sistema in sé, ma intenzionati semplicemente a sostituirsi a coloro che in esso detengono il potere. In sintesi e con le parole del poeta, mirano a “diventare quel padrone”. E per farlo, si organizzano. Questo è non altro sono i partiti “acchiappavoti”, come li ha definiti e descritti l’ultima puntata di Presadiretta, la trasmissione di Riccardo Iacona su Raitre: forme organizzate di apparati desideranti, macchine di consenso che assumono e traducono in termini elettorali quella ben più drammatica parola d’ordine che qualcuno immaginava e voleva “categorica e imperativa per tutti”.
C’è da dire, però, che quella che qui e nella visione di PPP si descrive, non è l’effetto di una “mutazione antropologica”, per dirla con l’immagine dell’autore delle Lettere luterane. Pensando alle Novelle rusticane, sembra di leggere in quanto accade solamente la vecchia ricerca della “roba” necessaria a garantirsi di fronte all’imprevedibile, e con le dinamiche di cui Verga ha mirabilmente narrato con parole e per storie, come le definisce Sarah Zappulla Muscarà (nel suo Invito alla lettura di Giovanni Verga) “mirabili, nella loro sofferta, opprimente desolazione, percorse da un più cupo pessimismo e nessun spiraglio di luce sembra illuminare i protagonisti di questa disperata tragedia del vivere”.