Nel 1991 avevo 14 anni. All’esame di terza media ci fecero preparare una sorta di “tesina” con la selezione di alcuni argomenti per le diverse materie collegati fra loro. Io scelsi di fare un lavoro sulla Rivoluzione d’Ottobre, collegandola a argomenti che per periodo o influenza potevano interessare le altre discipline; niente da fare, alcune malattie si prendono da piccoli. Nell’estate di quello stesso anno, nei giorni in cui finiva l’Unione Sovietica, alla festa dell’Unità del paese mi fermai a parlare di politica, per quanto ne potesse capire un ragazzino a quell’età, con quello che allora era solo il papà di una mia coetanea e poi divenne un amico (e un maestro per tante cose, compresa la scoperta di Guccini e dei Pink Floyd, fatta fra la sua collezione di dischi). E mi appassionai a quel modo di intendere una comunità. Da allora, molte di quelle feste le ho fatte, altre le ho disertate per scelta “di parte”, ma ho sempre inteso in modo “volontaristico” l’esserci o meno.
Perché ho ricordato questo pezzo di vita personale? Perché m’è capitato di leggere quello che alcuni volontari hanno raccontato a Corradino Mineo durante la festa dell’Unità di Modena. Scrive il senatore Pd sulla sua pagina Facebook: “I ‘compagni’ sentono che il loro mondo, fatto di bella socialità – ‘montiamo e gestiamo lo stand da tanti anni (mi dice un responsabile del ristorante di Carpi), ci ritroviamo ed è sempre bello’ – ormai sta finendo. Perché i giovani non vogliono più ‘lavorare gratis per l’Unità’ (e, aggiungo, per il Governo)”. E perché dovrebbero farlo? Lavorare gratis per quella festa (o per quest’Esecutivo), intendo.
Il mito che si è affermato in quello che era il principale partito della sinistra è ormai fatto solo di “professionismo” politico e vincismo esasperato come affermazione e attestazione di esistenza. In sintesi, la politica è solo affare di quelli che “la sanno fare” e in essa conta solo vincere – e chi vince, ovviamente – per affermarsi ed esistere.
È un po’ il modello del ventennio berlusconiano sussunto nel fu partito di massa. Solo che è chiaro che non può funzionare. Nessuno arrostiva le costine alle feste di Berlusconi, al massimo c’era il catering. E nel mondo patinato e vittorioso, fatto e popolato solo da chi conta perché può contare, io volontario sudato a montare uno stand o con la maglietta che puzza di carbonella e fumo di salamelle, e che al massimo posso essere contato, che ci sto a fare? Se devo collaborare alla gloria dei vincenti senza essere uno di loro, che almeno mi paghino per farlo.
PS: che tristezza, però.