Il linguaggio brutale dei governanti

L’avevamo conosciuto con la rottamazione, che già di per sé non era certo il più gentile ed educato degli inviti. Ma si sa, quando giochi a far l’outsider, i toni alti, anche forti, fanno parte del ruolo, del personaggio che incarni, e per quello sono spesso tollerati.

Poi è arrivata la stagione dell’atteggiamento un po’ guascone durante il congresso e quella immediatamente successiva, in cui si divertiva a sbeffeggiare i candidati alla sconfitta, Cuperlo e Civati, e alzare l’asticella per il lavoro altrui, fase sommamente sintetizzata nell’hashtag #enricostisereno, rivolto al suo predecessore Letta.

Infine, Renzi è arrivato al Governo e il suo eloquio, se possibile, si è inasprito ancora di più. Dal “ce ne faremo una ragione”, sprezzantemente rivolto a quanti la pensassero in modo diverso da lui, fino alla volontà di “asfaltare” gli oppositori e tutti coloro che “hanno paura” di lui, che sono “gufi” e “rosiconi”, “professoroni” che vogliono la “palude”, e quindi è giusto insultarli, e per liberarsi di loro è necessario un “cambiamento violento”.

Non son da meno i suoi ministri, come Alfano, che ieri ha gioito del respingimento tombale, è il caso di dirlo, della mozione di sfiducia “letteralmente seppellita”, o collaboratori nella segreteria del Pd, come la Serracchiani, che si rivolse al presidente del Senato che osava criticare metodo e merito delle riforme renziane con un imperativo e vagamente minaccioso: “Grasso rispetti le indicazioni del partito che lo ha eletto”. Mi chiedo cosa possa esserci di più brutale di un linguaggio che parla di asfaltare, che insulta, minaccia, e che evoca la violenza necessaria nel cambiamento e, addirittura, la tumulazione e quindi la morte?

E non è solo una questione di stile, è una questione di linguaggio, e dei pensieri che sotto e dietro questo stanno. Se il esso è feroce e dispotico, è abbastanza probabile che lo sia pure il pensiero che lo sostiene. E se l’enunciazione della propria idee politica è crudele e rissosa, è abbastanza probabile che lo diventi anche il dissenso che a essa si contrappone.

È davvero così che volete tenere il Paese, mia cara novella, o novellata, élite al potere? È realmente in questo modo che immaginate che debba andare avanti una classe dirigente? È sinceramente quella la forma e la sostanza con la quale si pensa di imporre il mai tanto decantato quanto invisibile cambiamento di verso?

Lo chiedo perché se tale è il modo in cui si intende il proprio essere classe di governo, perché stupirsi se la resistenza a questa si radicalizzi e s’inasprisca ogni giorno? E se ciò è quello che volete, tanto da perseguirlo con costanza quotidiana, avete davvero considerato le eventuali conseguenze e le possibili derive?

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