E chissà perché

Nei social network, sui giornali, in tv, sono tanti a dire: “ma Civati dove va? Non ha spazio politico? Che potrà mai fare? Uscire dal Pd? E per creare cosa? Farà la fine di Ingroia. Al massimo di Vendola. Non strepiti tanto, lui e i suoi, si adeguino e si rassegnino: la maggioranza è quella che decide in democrazia”.

Sapete che cos’è in questa analisi quello che amareggia di più? No, non la confusione fra democrazia e dittatura della maggioranza, nemmeno l’interesse di quelli che dicono quelle cose, né l’idea che comunque esista un solo destino ed uno solo. No, ciò che rende quel giudizio più soffocante e angoscioso è il timore che possa essere vero.

Perché se quella valutazione fosse vera, sarebbe pure peggio. Vorrebbe dire che non c’è possibilità d’alternativa, che, nella democrazia attuale, lo schema non è modificabile, lo spazio non è contendibile, che ci si può solo adeguare, stare dentro lo schema, o ritirarsi, come ormai fa la metà degli elettori. E non c’entra nulla Civati, come non c’entra Ingroia, Vendola o altri. C’entra l’impossibilità di parlare fuori dal coro, di dire cose al di là del perimetro stabilito, di lanciare lo sguardo oltre quello che è l’orizzonte condiviso, come se ci fosse un solo ed unico modo possibile.

Così si crea il silenzio, che non è consenso, ma rinuncia. E sotto questa covano, come brace nella cenere, sentimenti diversi, che non avendo diritto di cittadinanza nel dibattito che si sviluppa sull’unico canone accettato dalla maggioranza, son costrette a nascondersi, perché quella che c’è qui e adesso è l’unica opzione possibile.

Ma era davvero questo quel che volevamo? Era realmente questa la promessa della democrazia? Se non ci sono diverse possibilità, diverse strade da percorrere, diverse voci da ascoltare, manca la scelta e con essa la libertà.

E chissà perché in giro c’è tanta rassegnazione.

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