Negare la delusione è un esercizio inutile. Io, francamente, ieri un po’ lo ero. Ero un po’ deluso del fatto che il candidato che sostenevo e che ho votato fosse arrivato terzo su tre. E anche se di poco, anche se nel posto dove ho votato, nella città e nella provincia in cui vivo, come in una buona fetta del Paese, egli sia arrivato secondo, anche se questo risultato sia stato ottenuto in barba ai sondaggi ed alle logiche ed agli schemi della politique politicienne, l’esito è quello che è. Ecco, quindi la ragione della delusione, che però questa volta non è colpa di nessuno, ma è merito di molti.
Vedete, questo congresso l’ho vissuto abbastanza da vicino. Non è la prima volta che accade, ma è da tempo che non mi accadeva così. E per quel sentimento di delusione che provavo ieri sera, vi sembrerà strano, ma sono contento.
Perché è un sentimento che nasce da una speranza: la speranza che le cose, per una volta, possano andare in modo diverso. No, non “sarebbero potute andare”, ma “possano”, anzi, “possono”, ancora. Ecco perché, se sono deluso, è merito di molti. Merito di quelli che ho conosciuto e incontrato in questo percorso, che si sapeva accidentato, ma che non avrei immaginato così entusiasmante. Perché, negli anni, spesso la politica è stata la ripetizione stanca di cose che alla fine non cambiano mai, e che non ti deludono, perché si è già disillusi prima ancora che avvengano. Quelle cose per le quali non provi la delusione, che è il sintomo e la misura di una passione che scorre ed è viva, perché al suo posto c’è la rassegnazione, o, peggio, l’indifferenza. E se invece sei deluso, allora è perché hai sperato e speri ancora: e di questo si può solo essere contenti.
Il merito di questa delusione che nasce dalla speranza, e di quella speranza che vive oltre la delusione, è tutto di chi ha reso possibile questa storia. Di chi si è candidato provando a costruire intorno a sé un progetto che andasse oltre il perimetro di quelle cose stancamente dette e ripetute. Di chi ha saputo dare quotidianamente un contributo per un’idea che sentiva propria. Di chi, in questi mesi, ha dimostrato una generosità ed una gratuità che non sono comuni, sentimenti veri, che solitamente vengono ignorati in ossequio ad una visione della politica che è solo cinismo comodamente ed interessatamente interpretato.
Un viaggio che si è intrapreso con semplicità e naturalezza, come iniziano tutte le cose straordinarie. Come si potrebbe partire sull’auto di un amico, col rischio di rimanere senza benzina. Come si potrebbe prendere un treno per andare a presentare una proposta politica in un posto dove non si conosce nessuno. Come si potrebbe stare ore a distribuire volantini disegnati e stampati da soli. Come si potrebbe cercare di dare per una visione condivisa tutto ciò che si ha, anche su quel tutto fossero solo le proprie parole.
E tutto questo non è un arrivo, perché non è solo di un partito che si sta parlando, ma di un partire, in cui conta il viaggio e con chi lo fai. E se in quel viaggio ci credi davvero, allora sai anche che non è finito, perché non può esserci approdo, ed ancor meno può essere questo. Questa può essere una tappa, certo. E questo poteva essere un risultato migliore, ovvio. E poteva essere un porto più comodo, sicuro. Ma se era quest’ultimo che si cercava, credo che si sarebbe dovuta girare la prua verso altre rotte e mettere i legni in acque diverse. Se si naviga di bolina, bisogna mettere in conto di tener la barra su angoli angusti. Ed in quel proposito non rinunciare, se si vuole avanzare. Perché ora non servono scogli su cui consolare la delusione, ma è necessario nutrire ancora la speranza che ha generato quel sentimento, rimettendola per quell’alto mare aperto.
Perché della delusione al massimo se ne parla nei ricordi e fra i rimpianti; è della speranza, invece, che vive il coraggio necessario a trovare la forza per fare quello in cui si crede.