Salve a tutti,
riflettevo qualche giorno fa sulla geniale intuizione di Muhammad Yunus, filantropo (perché non so definirlo diversamente) ed economista che ha ben pensato di contribuire alla crescita della sua terra, il Bangladesh, aiutando con piccoli, a volte piccolissimi, finanziamenti i suoi conterranei.
Finanziamenti, non elemosine. Yunus, infatti, ha per anni prestato dei soldi a dei lavoratori che, con questi piccoli fondi, hanno potuto accrescere la loro attività, creando benessere per loro e per altri e, spesso, riuscendo anche a restituire il capitale (ma è un termine spropositato) ricevuto da Yunsu. “Finanziamento etico”: è questo il nome che Yunus ha dato al suo sistema creditizio.
Piccole somme per comprare una piccola barca ad un mercante sul fiume, un nuovo carro per un commerciante, nuovi strumenti per un artigiano, per pagare i primi mesi d’affitto di un locale da adibire a laboratorio o bottega. Piccole cose, ma spesso indispensabili, ed in quei territori impossibili da concretizzare. La differenza fra Yunus ed una tradizionale banca? Che il primo non strozzava i suoi beneficiati con interessi vertiginosi e non li impelagava in una selva di garanzie per loro impossibili da presentare.
Un giusto, come lo definirebbe la tradizione ebraica. Tanto giusto che anche a Stoccolma si sono accorti di lui e gli hanno concesso il Nobel per la pace. E che ne ha fatto il nostro Muhammad dei soldini avuti dalla fondazione Nobel? Li ha reinvestiti nella sua attività di “finanziatore etico”.
Un applauso sentito a Yunus.
Ora però mi chiedo: ma ci voleva così tanto? Mi spiego meglio. Noi qui in Basilicata e nel sud Italia ci lamentiamo continuamente della mancanza di possibilità, delle infrastrutture non all’altezza, di un tessuto economico non proprio forte, di ataviche e tradizionali debolezze dei settori produttivi, eccetera, eccetera, eccetera. Ma in Bangladesh, credo, non è che stiano meglio. Eppure là un tizio qualsiasi è riuscito ad inventarsi e mettere su un sistema dalla semplicità disarmante, in grado di sostenere e divenire attore della crescita economica e produttiva.
Qui, invece, siamo schiavi e sottomessi al sistema bancario tradizionale, alle spietate regole del mercato, incapaci di rilanciare una funzione etica in grado di sostenere la crescita autopropulsiva del territorio. Certo non si può chiedere alle banche di investire “al buio” come ha fatto Yunus; non lo farebbero mai.
Le banche no, ma forse la politica si. Credo, ad esempio, che nel territorio materano, dove io vivo, per stimolare l’autoimpiego e la nascita di piccole imprese artigiane e di trasformazione di produzioni agricole ed agroalimentari sia necessario che l’azione politica investa sulla messa a sistema di strumenti di microcredito per le imprese e, soprattutto, per i giovani imprenditori.
Potrebbe essere una piccola cosa, ma sicuramente è una strada percorribile dai comuni, come quello di Matera, per continuare con gli esempi concreti, che, in analogia con quanto già fatto in Italia da diversi enti locali, potrebbe dar vita a protocolli d’intesa con istituti di credito per favorire la concessione di piccoli finanziamenti ad imprenditori che operano, o intendo operare, nel tipico e nelle produzioni di qualità locali.
Queste forme di microcredito, associate alle potenzialità spesso ancora inespresse delle produzioni tipiche dei tanti territori italiani, come appunto quelle materane, può consentire l’innescarsi di meccanismi virtuosi, capaci di generare e sostenere la piccola imprenditoria locale.
Il territorio in cui vivo sconta sicuramente non pochi ritardi e problemi, è inutile e dannoso nasconderselo. Ma se un simile meccanismo ha funzionato in Bangladesh, penso, può funzionare anche qui: non credete?
Lo strumento del microcredito, quindi, sicuramente potrebbe concorrere, a Matera, in Basilicata e nel sud Italia, ad incentivare e sostenere la rete delle piccole imprese locali ed ingenerare duraturi e proficui processi di autoimpiego, specialmente giovanili.
E per una volta dal sud del continente asiatico, invece che merci e prodotti finiti, potremmo importare un ben più fruttuoso e complesso strumento finanziario: il finanziamento etico, appunto.