Di quell’andirivieni che segna il tempo

Scorrendo distrattamente, alla fine di questi giorni di vacanza da poco passati, la mia home page su Facebook, mi sono imbattuto in un articolo sul giornale online PotenzaNews.net che iniziava così: «“L’Epifania tutte le feste porta via” e con esse anche moltissimi giovani. Dopo i pranzi di famiglia, lo scambio dei regali, le ripatriate con gli amici, migliaia di ragazzi, ogni anno in questo periodo, lasciano il caldo abbraccio delle proprie origini per andare incontro al loro futuro». Poco più avanti, sullo stesso social, potevo leggere il bel pezzo di Franco Martina su Giornalemio.it, con un attacco da vecchia scuola di giornalismo e una conclusione amara, che sento pure mia: «Quattro bus della Marino intorno alle 19.00 di sabato 5 gennaio 2020 e un altro della Flixbus nel piazzale di via don Luigi Sturzo sono stati il segnale della partenza periodica, dopo la breve pausa natalizia, di tanti nostri giovani materani diretti a Roma, Milano, Bologna, Modena, Trento, Siena, Chieti per gli studi universitari o per lavoro. Saluti, abbracci, baci e tante raccomandazioni… con l’impegno a risentirci presto. Incrociamo i loro sguardi, quelli di altri genitori con l’immancabile “speriamo che un giorno tornino a Matera e in altri centri del circondario per lavorare”; altri sono concreti e guardano in faccia la realtà con un “…Spero che trovino lavoro altrove. Qui cosa devono fare. Lavorare a nero, girare con la mano tesa, superati dal raccomandato di turno?…”. Luoghi comuni. Forse. Ma come dar loro torto. L’emigrazione intellettuale, e di qualità, continua e, nonostante gli entusiasmi della economia delle mani libere della filiera turistica di Matera 2019 le perplessità aumentano. […] I bus, intanto, continuano a portare fuori dai vari centri della Basilicata il futuro di questa terra… Il resto sono chiacchiere».

Nei giorni a seguire, poi, sullo stesso argomento, mi sono imbattuto nell’articolo di Massimo Brancati, per La Gazzetta del Mezzogiorno, in cui si dava conto di come, nel solo 2018, siano andati «via dalla Basilicata 1.715 giovani tra i 18 e i 30 anni», nonostante non siano mancati «misure di sostegno all’occupazione, progetti per dare un’opportunità ai lucani (e a tutti i residenti nel Sud) di restare nei loro paesi d’origine», che però, a giudicare dagli effetti e nella migliore delle ipotesi, «non hanno inciso come si sperava». E devo dire che sono rimasto davvero smarrito quando, mettendo ordine fra le carte, come mi capita di fare all’inizio dell’anno, mi sono ritrovato fra le mani il ritaglio una citazione dal Cristo si è fermato a Eboli: «Tutti i giovani di qualche valore, e quelli appena capaci di fare la propria strada, lasciano il paese. I più avventurati vanno in America, come i cafoni; gli altri, a Napoli o a Roma; e in paese non tornano più. In paese ci restano invece gli scarti, coloro che non sanno far nulla, i difettosi nel corpo, gli inetti, gli oziosi: la noia e l’avidità li rendono malvagi. Questa classe degenerata deve, per vivere (i piccoli poderi non rendono quasi nulla), poter dominare i contadini, e assicurarsi, in paese, i posti remunerati di maestro, di farmacista, di prete, di maresciallo dei carabinieri e così via. È dunque questione di vita o di morte avere personalmente in mano il potere; essere noi o i nostri parenti o compari ai posti di comando. Di qui la lotta continua per arraffare il potere tanto necessario e desiderato, e toglierlo agli altri; lotta che la ristrettezza dell’ambiente, l’ozio, l’associarsi di motivi privati o politici rende continua e feroce».

Sì, la mancanza di lavoro e la lotta per il (sempre meno) potere rimasto. Il tutto, genera un ambiente che, ancor di più e di nuovo, spinge ad andar via, perché, principalmente, sfiducia. E mi sarei sentito solo, in questo pensiero, se di lì a poco, sempre attraverso il medesimo canale (ché nei social non tutto è perduto), non avessi trovato l’ottima riflessione di Michele Finizio, su Basilicata24.it: «I giovani, in sostanza, hanno bisogno di fidarsi del territorio. L’affidabilità di un territorio è data da diverse variabili sociali, politiche, culturali. Al centro delle variabili immateriali troviamo la fiducia. Il capitale di fiducia sviluppa convivenza civile di qualità, senso di sicurezza, senso di comunità e di reciprocità. In un territorio dove si truccano i concorsi, dove si inquina impunemente, dove il welfare non funziona, dove l’Università ha un rating basso, dove circolano corruzione, privilegi, raccomandazioni, dove il problema del free-rider è accentuato, dove l’ambiente naturale è sottoposto a forti stress, la fiducia scarseggia insieme a tutto il resto. Si verifica un fenomeno che possiamo definire “deprivazione della speranza”. Le politiche degli incentivi all’occupazione – destinazione giovani, resto al sud, garanzia giovani, eccetera – da sole non bastano, anzi appaiono inutili, senza massicci interventi di rigenerazione sociale, economica e politica».

Senza poter vantare alcun talento, pure io ho fatto, per lunghi anni, dell’esperienza della partenza dopo le feste e di quella dell’andare per non tornare, se non per brevi periodi, la mia misura del tempo che scorre. Ora, e su tale nuovo sentire non pongo qui giudizi di valore, non più; rimane, ovvio, il sentimento per gli affetti lasciati, ma so che dovrei lasciarne altri.

Soprattutto, non so sempre cosa rispondere quando mi chiedono se io pensi mai di poter tornare, in un futuro più o meno lontano, né come motivare, dettagliatamente e in modo convincete, il mio propendere, sempre e comunque, per un no a quell’interrogativo. Però so che quell’andirivieni che segna le stagioni non vorrei che diventasse, per mia scelta di oggi, la dimensione del domani di mio figlio.  

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