La borsa non è la vita

«Forse neanche Perry Mason e Giulia Bongiorno riuscirebbero a dimostrare che chi spara a un ladro dal balcone, e lo colpisce alle spalle mentre scappa con la refurtiva, rientra nell’ipotesi del “grave turbamento” prevista dalla nuova disciplina sulla legittima difesa. Ma sospetto che i primi a non essere gravemente turbati dall’esito dell’autopsia sul moldavo ucciso dal tabaccaio di Ivrea siano i cittadini che ieri sera hanno organizzato una fiaccolata di solidarietà per il pistolero. Ai fan del tabaccaio interessa poco sapere se in pericolo c’era la sua vita o soltanto la cassa. Per loro la difesa della proprietà priva giustifica comunque una reazione».

Mi capita raramente, ma questa volta sono d’accordo con Massimo Gramellini. Nel suo Caffè di ieri sul Corriere, il volto televisivo reso celebre (un caro amico direbbe: «rovinato») da Fabio Fazio, ha ragione. E ne ha anche quando ipotizza che le persone scese in piazza a sostegno del commerciante canavese, sostanzialmente, siano «cittadini che non hanno più fiducia nello Stato». Purtroppo, rischia di essere così. È sempre una qualche estremizzazione delle teorie sullo Stato minimo, infatti, quella che giustifica il ricorso al fai da te pure su questioni di sicurezza e difesa. I fucili imbracciati e le pistole alla fondina, d’altronde, si sposano bene con quel concetto di frontiera «dove lo Stato non c’è», per citare il titolo di una raccolta di racconti di Tahar Ben Jelloun scritti dopo un viaggio nell’Italia meridionale (altro luogo, aggiungerei, dove il ricorso all’arte di arrangiarsi sconfina spesso in sfere che dovrebbero rimanere appannaggio del monopolio governativo, quali la tutela dell’incolumità dei singoli e la salvaguardia dei loro legittimi interessi e averi).

Quello che in tutto questo però non torna è la resa stessa dello Stato, che, nella sua versione di Governo attuale, abdica alle sue funzioni dicendo ai cittadini che, siccome non può proteggerli come sarebbe necessario facesse, si devono estendere le maglie della difesa possibile per i singoli, in modo che questi ultimi pensino sempre più da soli alle proprie questioni (che il portavoce e il paladino di questa rinuncia al ruolo di guardiano da parte del potere costituito sia proprio quello che, per mandato politico e istituzionale, è a capo delle guardie, aggiunge misera comicità a una situazione disperatamente drammatica).

Infine, non si può non dire qualche parola sulla specificità dell’avvenimento da cui muove questa riflessione. L’esercente di Pavone Canavese è stato più volte rapinato, e capisco che questa situazione renda oltremodo tesi. Ma sparare dal balcone alle spalle di chi sta rubando nella tua proprietà – se fossero confermate le ipotesi investigative – è davvero fuori da ogni concetto di difesa, legittima o meno. Vedete, io non sono il tipo che se gli entrasse qualcuno in casa non cercherebbe di difendere l’incolumità sua e dei suoi cari, tutt’altro. Però, nel caso di cui discutiamo, non pare si sia trattato di un atto di difesa della vita, al massimo della borsa.

E la seconda non può mai valere la prima, di nessuno.

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