Solo a me non stupiscono i dati dell’industria dell’automobile?

In altre occasioni su questo spazio mi è capitato di commentare i dati negativi della produzione e vendita delle automobili, a livello europeo e occidentale o solo con riferimento al nostro Paese. E già in quelle circostanze non ho potuto non notare che il problema più grosso, a mio avviso, sta in un mercato ormai saturo di quelle stesse produzioni. Un problema che però, a quanto mi capita di leggere in giro, continuamente viene rimosso.

Lo scorso lunedì sono usciti i dati della produzione industriale in Italia elaborati dall’Istat per il mese di aprile, che hanno fatto segnare un preoccupante calo dello 0,7 per cento. In questa prospettiva, il settore auto segna numeri spaventosi: -17% rispetto allo stesso mese del 2018. Spaventosi, sì, ma non stupefacenti, almeno per come la vedo io. Perché, se superiamo quella rimozione collettiva di cui dicevo, possiamo accorgerci, camminando per le nostre città, che di macchine private ce ne sono fin troppe in giro; quante altre pensate di poterne vendere? E a chi? Certo, gli esperti spiegano che il «parco vetture circolante» è datato e andrebbe cambiato, ma si guardano bene dallo spiegarne il perché? La mia auto ancora si mette in moto e, per l’uso che ne faccio, va bene: dovrei cambiarla, nonostante si avvicini appena ai quindici anni di vita e con soli 250 mila chilometri percorsi?

Non scherziamo, le cose si cambiano quando non funzionano più, quando non riescono più a svolgere il compito per cui le avevamo comprate, e se quel compito per noi è ancora necessario che sia svolto. Il resto rischia di essere sfizio, moda, sport, nel senso di passatempo ed esibizione. E con i prezzi sui quali mediamente girano quei prodotti, è sempre meno probabile che qualcuno, per capriccio, ne acquisti.

Soprattutto, ripeto, se ce l’ha e funziona.

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