La prossima libertà limitata sarà la vostra

Scriveva qualche settimana fa Luigi Ferrarella in un editoriale sul Corriere, a proposito del voto al Senato sull’autorizzazione a procedere per Salvini sul caso della nave Diciotti: «Nel proclamare che “la configurazione di ministerialità di un reato si arresta alle soglie della lesione irreversibile di diritti fondamentali”, e che perciò la categoria del reato ministeriale non varrebbe “in relazione a fattispecie criminose che ledano in modo irreversibile determinati diritti fondamentali”, la relazione votata aggiunge infatti che “i diritti compressi” sulla nave, cioè quelli di circolazione delle persone, “non possono annoverarsi tra i diritti fondamentali per così dire ‘incomprimibili’, quali la vita o la salute”. Ciò significherebbe che un ministro, per “il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”, non potrebbe arrivare a ordinare un “omicidio di Stato” (come già notava una nota del professor Luca Masera), ma potrebbe invece ledere “diritti fondamentali”, a condizione che siano diversi da quelli “incomprimibili” di “vita o salute”, e che la “lesione” non sia “irreversibile”. Dunque potrebbe ordinare la tortura, giacché ogni buon manuale di supplizi è ideato proprio per non lasciare conseguenze permanenti: e la stessa conseguenza potrebbe trarsi per i trattamenti inumani e degradanti, per la compressione della libertà morale, persino per la schiavitù».

In buona sostanza, dicendo che limitare la libertà senza alcun pronunciamento dell’autorità giudiziaria – ché di questo si è trattato – delle persone a bordo della Diciotti, migranti e non solo, è una cosa che un ministro può fare, purché la sua maggioranza politica lo ritenga nell’interesse della nazione, si dice che un ministro può andare contro un principio fondamentale, tipo quello, appunto, tutelato dall’articolo 13 della nostra Costituzione. Badate bene: purché lo ritenga ammissibile la sua maggioranza politica. Perché è quella che basta a che, per il Parlamento, sia «licito in sua legge» quanto fatto da un esponente del Governo. L’ipotesi di reato sollevata contro il ministro dell’Interno era quella di sequestro di persona. Nessuno di quanti, a prescindere, l’hanno ritenuto legibus solutus ha inteso valutare il fatto in sé, la privazione della libertà a cui sono state costrette decine di persone che non avevano fatto nulla, ma ha invece voluto affermare il principio secondo il quale, per una presunta ragione di sicurezza che loro stessi hanno valutato esistere, un ministro poteva farlo. Domani, su questa linea e in tale deriva, cosa vieterà a lui o ad altri di disporre il carcere per chi, da essi medesimi, sarà ritenuto un pericolo o una minaccia per lo Stato?    

Continuando, cosa impedirà di farlo sempre e in ogni occasione lo ritengano necessario? E non è forse proprio in quel modo, derogando ai princìpi fondamentali un passo alla volta, che alla fine ci si ritrova immersi in una situazione da cui non si sa più uscire? Non sono queste distrazioni, queste pieghe prese quando il prenderle sembrava anche comodo e confortevole, pure giusto e necessario, che conducono non di rado ai regimi autoritari e liberticidi, per cui arriva sempre troppo tardi e quando si hanno meno forze il momento di accorgersi dell’incubo in cui si è finiti?

Come la rana di Chomsky, sì.

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