«Dopo la rivolta del 17 giugno/ il segretario dell’Unione degli scrittori/ fece distribuire nello Stalinallee dei volantini/ sui quali si poteva leggere che il popolo/ si era giocata la fiducia del governo/ e la poteva riconquistare soltanto/ raddoppiando il lavoro. Non sarebbe/ più semplice allora che il governo/ sciogliesse il popolo e/ ne eleggesse un altro?». La soluzione, 1953, di Bertolt Brecht, in Poesie 1933-1956, Torino, Einaudi 1977, p. 665.
Parlava delle rivolte operaie contro il regime nella Berlino Est del dopoguerra, l’autore de L’opera da tre soldi. Altro tempo, altri problemi. Tuttavia, non è diversa per natura la provocazione lanciata con un tweet compassato dal sempre timoroso per la tenuta del suo mondo Vittorio Zucconi. Scrive il giornalista: «Il Pd si sta squagliando nei sondaggi, evviva. L’Italia si vuole affidare a una mummia pregiudicata, a un razzista da bar sport e a uno steward da tribuna Vip sotto tutela di un comico. Sarà bellissimo». Allora, seguendo l’ironico consiglio di Brecht, prima che si squagli il partito di governo, il Governo sciolga il popolo e ne nomini (ché eleggere non si usa più) un altro.
Sì, certo, ridiamone pure. Rimane il fatto che una certa parte del mondo della cultura – vabbè, insomma, diciamo – si comporta sempre più spesso in modo schizofrenico rispetto al principio fondante della democrazia: quello che vuole il voto, e quindi il giudizio, dei cittadini, uno dei valori cardini su cui instaurare tutto il resto di una narrazione politica e di un discorso pubblico.
Per carità, io reputo la democrazia un’ideologia fra le altre, condannata forse da una sorta di malattia autoimmune innata nel suo stesso organizzarsi, e sempre più ormai continuo a nutrire dubbi sulla mia reale possibilità di fare qualcosa di importante o necessario al suo interno. Ma loro, le firme di punta e le menti migliori del racconto del quanto sia bello il mondo libero in cui viviamo, dovrebbero avere ben altro atteggiamento e valutazione, circa l’infrastruttura sociale e istituzionale che ci si è dati.
O almeno, questo è quello che io avevo capito dalle loro precedenti parole.
Non c’è bisogno di esserne consapevoli per contribuire:
http://www.pnas.org/content/111/24/8788.abstract
La reale possibilità di fare qualcosa d’importante in una democrazia comincia con quanto l’individuale percezione di importanza sia condivisa.
Certamente non è l’unica condizione come ben dimostra la condizione di “quarantena permanente” dell’astensione.