«Ha qualche previsione per il futuro?», chiese Luisella Re in un’intervista a Pasolini per la terza pagina di Stampa Sera del 9 gennaio del 1975. «Per me, un progetto. Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, però: basti pensare che è una specie di “summa” di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie», rispose il pensatore corsaro. Per poi aggiungere: «Per me e per tutti gli altri, invece, ho una paura. Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso… Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come».
Si chiudeva così, con quel timore esplicitato in forme precise, una delle ultime interviste di Pasolini. Non fece in tempo a spiegarci cosa volesse fare per realizzare quella “summa” del suo lavoro a cui pensava; la morte lo incontrò prima della fine di quello stesso anno. Le altre parole, invece, paiono aver colto in pieno il senso di quel riflusso che di lì a poco sarebbe iniziato e che ancora tutti ci risucchia verso gli abissi di un mare in ritirata. Andate via le ideologie e spariti gli ideali, rimane un concretismo teso alla gestione dell’attuale e alle piccole cose. La pratica amministrativa sostituisce la politica e un certo utilitarismo, quando va bene di parte, altrimenti declinato al singolare ed egoistico, ne innerva il dispiegarsi nella mondanità. Il resto, non è più questione di cui occuparsi. Ed è a quel punto che, quanti non trovano più le coordinate sui cui impegnare le proprie idee e non sono interessati (per scelta morale o circostanze ambientali, va detto) al protagonismo in prima persona, rinunciano e abbandonano ogni tentativo di partecipazione.
Egoisticamente anche loro, forse, decidono che non ne vale la pena. Perché non ne capiscono più il senso, perché non ne vedono il quadro generale, la visione complessiva, o perché, banalmente, dell’utilità pratica che qualche personaggio sempre in carriera e col piglio da politicante potrebbe trarci non saprebbero che farsene, si ritagliano un angolo, e magari nemmeno quello, da cui guardare l’epoca e il luogo che in sorte son toccati e provare a capire come pensarli migliori.
Un sentiero, appunto.
Andrebbe chiarito esplicitamente come possa mai essere concepita una “politica” alienata dalla gente e le loro “piccole cose” (in primis a chi penda verso l’astensionismo).
E varrebbe la pena non dimenticare che con “utilitarismo” si possa anche classificare un insieme di ideologie ben diversificate nei dettagli a cominciare dalla platea di “beneficiari”.
Peraltro rimane in sospeso il paradosso da cui potrebbe non sfuggire chiunque abbia una “weltanschauung” nella quale cooptare il mondo intero senza scadere nel plateale estremo di molti regimi dittatoriali che si sono proposti quali oracoli del “popolo” ragionando come Procuste.
In ogni caso a dispetto del pensiero unico si è sviluppata una concezione di democrazia nella quale si rileva che la “sintesi complessiva” trascenda le possibilità dei singoli (e dei loro “orizzonti parziali”) e possa essere individuata solamente come proprietà emergente di ben definite modalità di deliberazione e rappresentanza consapevoli e rispettose del pluralismo.
Non sembra esistere un consenso sul tema ma ho l’impressione che non tutti considerino la questione rilevante.
PS: La contrapposizione tra “politica” ed “utilitarismo” sembra piuttosto un artefatto delle attribuzioni arbitrarie implicitamente assegnate a tali due “contenitori” senza fornirne adeguata spiegazione.
Un po’ come è avvenuto per il termine “consociativismo” che in questo Paese è diventato sinonimo di “politica” restituendo un modo creativo di fare censura mediante “deriva semantica”; “politica” è termine a cui ilsenso comune conferisce tutt’altro valore di quello implicitamente scelto per il post odierno.
Correva l’ anno 2006 , casino royale e il codice da vinci:
politica economica/finanziaria yale road …. , vecchia strada e codice D leonardo;
vecchia strada dal 1979 e cioe’ il 1981 (2008 ieri) crisi Stati Uniti dopo Vietnam (Afghanistan-Torri Gemelle…ieri).
Dal 1981 al 1985 crisi economiche con interventi del FMI in Danimarca(Irlanda ieri), Spagna ,Portogallo,…
Codice D politica,comunicativa,vicende,……., ottica!