Già, la maggioranza

Domani, gli elettori francesi saranno chiamati a decidere, in quasi tutti i collegi, chi saranno i loro rappresentanti all’assemblea legislativa; la Repubblique en marche, il partito del presidente Macron, stando ai sondaggi e alle indicazioni del primo turno, si avvia a prendere un numero di deputati compreso fra i 390 e i 460 dei 577 che complessivamente formano l’Assemblée nationale; auguri. Giorni fa, per l’internet, girava un grafico a torta molto curioso. In pratica, l’autore aveva semplicemente spalmato i dati delle percentuali ottenute dai vari partiti sull’intero numero degli aventi diritto al voto, astenuti compresi. E siccome, in Francia, domenica scorsa hanno votato meno della metà degli elettori, l’effetto era davvero impressionante.

Così calcolati, i consensi nel corpo reale della popolazione transalpina per il partito che si avvia a raggiungere i due terzi del parlamento diventavano meno del 13 per cento. Ora, è chiaro che il sistema è quel che è e che chi non partecipa, non decide, come è del tutto evidente che, anche depurata del dato dell’astensione, la proiezione in un meccanismo maggioritario fra voti presi e seggi conquistati è sempre squilibrata in favore di questi ultimi. Nondimeno, è dirompente l’idea che appena uno, due cittadini su dieci decidano, nei fatti e in concreto, la maggioranza più che assoluta dei rappresentanti di una nazione. Mi potreste sempre dire che, gli interessati, potevano recarsi ai seggi. Ovvio; ma potrei rispondervi che, se la proposta di Macron fosse stata davvero tanto interessante, avrebbe attirato ben più francesi che quell’uno o due su dieci. Come capite, è un cane che si morde la coda. Tranne che per un aspetto sintetizzabile con una domanda: cosa succederà se un provvedimento dovesse passare senza condivisione diffusa nel Paese, però supportato dalla maggioranza nella camera deputata a votarla e formatasi nei modi e nelle misure che sappiamo? Per dirla meglio, l’eventuale opposizione sociale, dove si comporrà? In che modo potrà esprimersi l’ipotetico dissenso del Paese, se è così parcellizzata e infinitesimale la sua rappresentazione nel Palazzo?

Vedete, potete fare spallucce e dirmi che la Francia è una nazione di provata fede democratica e potrei ribattervi che, sì, è vero, però si regge su un sistema istituzionale che non io, ma Mitterrand, definiva un «colpo di Stato permanente», ed entrambi non caveremmo un ragno dal buco. Io non sto dicendo che è o sarà illegittima la composizione del nuovo parlamento francese; sto dicendo che non potrebbe non essere rappresentativa di quelle che sono, realmente, le posizioni dei francesi in relazione ai voti che hanno espresso.

Poi, tutti vivranno felici e contenti e ogni cosa andrà per il meglio. Eppure a me i dubbi rimangono.

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1 risposta a Già, la maggioranza

  1. Italiote scrive:

    I sostenitori della democrazia di massa riconoscono la realtà sociale delle nazioni come pluralistica e conseguentemente sostengono la necessità di istituzionalizzare la risoluzione di conflitti sociali secondo regole collegialmente decise (“metodo democratico” ex art 49 Cost) ma c’è ancora chi ragiona secondo i paradigmi della democrazia d’elite e considera la sovranità popolare come uno slogan irrealizzabile.

    I sistemi maggioritari causano immancabilmente la perdita di una parte rilevante dei voti (wasted votes) che va aggiunta all’astensione che, secondo alcuni autori l’astensione è un prodotto delle leggi elettorali. (cfr Disproportionality and voter turnout in new and old democracies— Aina Gallego et al. 2012)

    Qualora i cittadini non siano in grado di capirne profondamente il funzionamento i sistemi elettorali possono essere utilizzati come strumento di controllo delle masse (cfr Electoral reform dilemmas: are single-member constituencies out of date? — Matthew Roberts 2011 )

    Per recuperare l’astensione del 50% degli aventi diritto varrebbe la pena concedere l’aumento della frammentazione politica (long tail distribution) e dunque l’espressione fedele delle effettive combinazioni di political cleavages presenti tra i cittadini?

    La risposta a questa domanda è continuamente ripetuta dalle mindguard nei media che quasi non c’è più il rischio che qualcuno ne dia un’altra.

    Il groupthink è un comportamento disadattativo dei gruppi che induce a minimizzare i conflitti e raggiungere il consenso senza un adeguato ricorso alla messa a punto, analisi e valutazione critica delle idee.

    Può anche essere chiamato con l’etichettamento eufemistico di governabilità (secondo le dinamiche del disimpegno morale).

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