Le ragioni agli altri, l’errore mio

Ammetto di sbagliare. Quando giudico dal soglio d’una presunta diversità quelli disposti a fare ore di fila per entrare in un negozio, quando sorrido di chi spende i suoi pochi risparmi per un telefono o un vestito, quando mi diverto a giudicare i comportamenti di quanti ne hanno di tanto differenti dai miei quanto insostenibili per le loro risorse. Sbaglio, semplicemente perché non ho alcun diritto di giudicare, e perché lo sberleffo è satira se si rivolge al potente, ma diventa arrogante sarcasmo quando si volge ai senza potere.

Se mio è l’errore nell’esprimere pareri sul comportamento di quei miei pari, degli altri dev’esser la ragione negli stessi giudizi, per il semplice fatto che la loro valutazione è data da un pulpito più elevato. Nondimeno, leggendo le stigmatizzazioni che spesso si incontrano sui comportamenti popolari, quali le code in auto all’ingresso di un outlet o gli ascolti record per trasmissioni d’intrattenimento, non posso non provare un attimo di stizza. Perché quelli che hanno letto un milione di libri forse sono nel giusto a condannare quanti non sanno nemmeno parlare, però io non riesco a non vedere come quell’accusa vada dall’alto verso il basso nella scala sociale. E allora non sono più convinto di quale sia il mio posto.

Sì, voglio un benessere che sia legger Dante e apprezzare Picasso, ma non per questo mi vergogno dei miei avi analfabeti. Così come passo ore fra le pagine di un classico, però non riesco a rinnegare i miei fratelli che non riescono, o non vogliono, spendere il loro tempo su cose che qualcuno ha scritto per altri e che non li riguardano minimante. E se anche volessi provare a spiegar loro che in quelle parole c’è molto di più che nelle vetrine che guardano, la realtà che vivo mi dice tutti i giorni che molto probabilmente sono io in errore.

Perché in questo tempo dove la concretezza è dittatrice, le cose si fanno solamente in quanto possano servire, oppure è tempo sprecato, lusso che non tutti possono permettersi. Guardandomi intorno, vedendo ciò che è stato e quel che è, alla fine non mi rimane da fare altro che ammettere che, per quante ragioni abbiano quelli che criticano comodamente i costumi presenti, non hanno torto quanti li seguono e se ne lasciano sedurre.

Sebbene io abbia smesso di essere fra gli uni e non sia mai stato degli altri.

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