Per la prima volta nella sua storia, il Parlamento italiano discute di rendere pienamente legale la produzione e il consumo di marijuana per uso ricreativo. Il testo sostenuto da oltre duecento deputati e incardinato alla Camera è secondo me una buona partenza per la soluzione di questioni da troppo tempo aperte, dalla criminalizzazione del consumo di una droga meno dannosa di altre perfettamente legali fino all’indiretto sostegno con quel proibizionismo offerto a trafficanti di stupefacenti, criminalità e anche gruppi armati terroristici.
Fosse per me, l’approverei domani per tutta una serie di ragioni che sono state più volte e da altri meglio dette e che non sto qui a ripetere. Ma per quanto lo ritenga giusto e doveroso, non farò alcuna battaglia politica o culturale per la legalizzazione della cannabis. Non perché non sia un affare che mi riguardi, non è questo il punto. Il tema è il ripiegamento verso la sfera delle libertà individuali a cui si sta assistendo da anni, mentre quelle sociali vengono progressivamente ridotte nell’indifferenza degli stessi colpiti: a ciò non riesco ad adeguarmi, e continuo a pensare che la funzione della politica sia da riportare sulle seconde con almeno la pari intensità che viene dedicata e riservata alle prime.
Non sto dicendo che tra diritti del singolo e diritto dei molti ci sia competizione e concorrenza, tutt’altro: io credo che non possa esserci avanzamento civile senza progresso sociale e viceversa. Però mi stupisco di come si possa essere così pronti a difendere un passatempo (cos’altro è un «uso ricreativo»?), e allo stesso tempo si accettino continue riduzioni nella sfera dei servizi essenziali, delle tutele sul posto di lavoro, della difesa del benessere collettivo urbano e ambientale quasi senza battere ciglio.
Per questo, io, non farò né dirò nulla a sostegno di quella pur giusta iniziativa.
Doverosa postilla. Sì, lo so ed è vero: sono iscritto a una forza politica, Possibile, che ha raccolto le firme per una proposta di legge in quel senso e che si batte e si spende per la sua approvazione. E aggiungo che fanno bene, loro. Io, però, continuo a pensarla come ho scritto, e quindi quella non sarà la mia battaglia.
Quello che mi ha sempre tenuto lontano dai radicali è descritto molto chiaramene nel post: chapeau per le battaglie sui diritti civili, ma assoluta mancanza di prese di posizione (non arrivo a dire lotte) per la difesa dei diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli della popolazione. Quel poco, che posso fare personalmente, preferisco indirizzarlo su questi temi.