Generazione perduta, non classe ritrovata

«La generazione dei nati negli anni ’80 rischia di andare in pensione a 75 anni». E quando dovesse riuscirci, ad attenderla non ci sarà di certo la tranquillità di rate mensili adeguate al costo della vita, anzi: fra precariato e basse retribuzioni, il futuro sarà di assegni al limite con le necessità di vita. Se lo dicono anche i vertici delle istituzioni a quello preposte, come ha fatto recentemente il presidente dell’Inps Tito Boeri, c’è da crederci.

Io temo che, se questa sarà la sorte di chi ha fra i 25 e i 35 anni, per la generazione che seguirà potrebbe essere pure peggio. “Generazioni perdute”, dicono quelli che si ritrovano a parlarne dalla sicurezza dei loro redditi, e mentre loro si bevevano Milano, sineddoche per l’intero Paese, o ruggivano indignati alla fine della sbornia contro quanti avevano applaudito mentre riempivano i bicchieri, nascevano quelli a cui avrebbero lasciato il conto. L’offesa che si aggiunge al danno non l’han fatta mancare, dato che si son pure divertirli a chiamarli “schizzinosi”, “sfigati” o “sdraiati”, a seconda che a parlare fossero professori chiamati a risolvere problemi di cui non avevano contezza, figli di papà paracadutati al governo o giornalisti smemorati, stanchi di battaglie raccontate fingendo di combatterle.

C’è l’ho con quelli che ci hanno preceduto? Quando mai; non sono mica un “rottamatore”. Mi chiedo solo quali meriti abbia la generazione immediatamente precedente alla mia per poter spiegare a quella che segue quali siano i suoi limiti. Quelle ancor prima, ad esempio, avevano fatto la guerra e la ricostruzione, erano dovute andar via «per far grande l’Italia» che li scambiava a peso con il carbone, avevano conosciuto miserie e cadute e temuto che di non vedere il domani. Ma la “meglio gioventù”, singolarmente intesa così come individualmente all’unisono pontifica, che ha fatto per meritarsi le fortune che i ventenni e i trentenni di oggi si vergognerebbero financo di sognare?

«Ai ragazzi di ora non va di fare sacrifici», spiegano i sessantenni con licenza media serale, impiegati nei municipi dai tempi della 285 del ’77, senza mai aver aperto un manuale di diritto amministrativo o intimoriti da un computer al punto di non accenderlo per non provocarne esplosioni, mentre commentano la rinuncia a un posto da stagista addetto alle fotocopie in un’agenzia d’assicurazione, senza prospettive né retribuzione degna d’esser chiamata tale, del laureato in Scienze Politiche con master in Relazioni Internazionali. «Vogliono il lavoro sicuro», bofonchia chi non ne ha mai dovuto cambiare uno dal giorno dell’assunzione, nel ’66, a quello della pensione, nel 2003, col retributivo al massimo, verso quelli che eccepiscono sul fatto che vendere contratti del telefono casa per casa sia garanzia sufficiente a metter su famiglia. «Nove italiani su dieci consumano la vita all’interno della stessa provincia», scrive paternalisticamente il giornalista che guarda al suo mondo, ignorando quello di chi, per tornare nel posto in cui è nato, ha davanti ore e ore di auto o di pullman, che nei suoi luoghi nemmeno arrivano i treni veloci per i signori che non sanno quanto possono svuotarsi alcuni paesi.

Alla fine di queste parole, me ne tornano in mente altre. Quelle di un libro di alcuni anni fa, Precari, la classe esplosiva, di Guy Standing, che nel titolo originale suonava pure più minaccioso, con quel dangerous al posto di esplosiva che di certo non rassicura, ma anche quelle di un giovane dal nome simpatico che cantava a Sanremo quest’inverno: «E che futuro avremo noi, cresciuti senza direzione,/ Tutti dietro le tastiere, e mó chi a fa’ a rivoluzion».

Questa voce è stata pubblicata in economia - articoli, libertà di espressione, politica, società e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

1 risposta a Generazione perduta, non classe ritrovata

  1. Fabrizio scrive:

    Non sviluppo trovato , crescita perduta.
    Crescita perduta perche’ la ricchezza non e’ redistribuita , non sviluppo trovato perche’ il benessere e’ minore per gli altri e maggiore per gli uni.
    L’acqua “generazionale” non sara’ piu’ un benessere pubblico ma sara’ solo una ricchezza privata.
    Il lavoro, la forza “”generazionale”” non sara’ piu’ un benessere pubblico ma sara’ solo uno sviluppo privato.

    p.s. continua

Lascia un commento