Nel mentre ci diciamo “civili”

Capita spesso che la satira colga il senso profondo di quello che accade meglio di dotte analisi e approfonditi ragionamenti. Credo che ci sia riuscito con pochi tratti di matita qualche giorno fa Vauro Senesi, quando ha disegnato un europeo dal lato “giusto” del filo spinato parlare con una famiglia di profughi (o migranti, ma che differenza fa?), mentre sulle loro teste passava il vettore del progetto ExoMars, con tanto di slogan retoricamente epico, L’Europa cerca vita su Marte, e il suo commento laconico: «Ché di quella che c’è ai suoi confini se ne sbatte le palle!».

Guardandola, mi è tornata in mente la crudelmente grottesca parodia dell’epopea nixoniana fatta da Philip Roth in Our Gang (tra l’altro, titolo originale della serie da noi conosciuta come Simpatiche canaglie, per dire della stima che aveva l’autore di quel gruppo di potere per oltre un ventennio al centro della vita pubblica e politica statunitense), nelle pagine in cui mette in relazione le posizioni antiabortiste del trentasettesimo inquilino della Casa Bianca  sull’aborto e gli atti successivi alla condanna all’ergastolo del tenente Calley per il massacro di My Lai, in cui i militari Usa aprirono il fuoco su centinaia di civili disarmati, mandato in carcere e ai lavori forzati dai giudici ma posto ai domiciliari per ordine di Nixon.

In un surreale dialogo con un suo supporter, al presidente viene chiesto come conciliasse il suo essere “pro vita” al punto da considerare l’aborto un’inaccettabile forma di controllo delle nascite e quanto successo nel villaggio sudvietnamita. In sintesi, l’interlocutore di Dixon (il nome di Nixon nella trasposizione letteraria) chiede come si potesse essere sicuri che nessuna donna incinta ci fosse fra quelli contro cui gli uomini al comando di Calley rivolsero le armi. E il presidente, in effetti, risponde che in quel caso, ma solo in quel caso, le gesta del tenente sarebbero esecrabili, e lui, contrariamente a quello che gli veniva chiesto, non avrebbe intercesso in suo favore.

Il ribaltamento ironico della realtà è cruento, ma non eccessivo. Un po’ come le cene di raccolta fondi per i bimbi poveri dell’Africa fatta da ricche signore del Mississippi, commosse per il dolore dei neri oltre Atlantico e sprezzanti per quello dei loro vicini di casa con un diverso colore di pelle, e raccontate con leggerezza che non cede alla superficialità dal film The Help di Tate Taylor. Ma non è lontano da quel che accade ancora.

Quante volte abbiamo visto l’ipocrisia di chi parla di “famiglia” e ne dimentica centinaia di migliaia, veri e sofferti presepi viventi, quando si dice “l’Europa dei valori cristiani”, con bambini e vecchi, donne e uomini nel fango o sotto il sole ai nostri confini? Quante volte abbiamo ascoltato parole di speranza ripetute in preghiera dagli stessi che chiudevano le orecchie prim’ancora che le porte alle voci dei disperati in fuga da fame e miseria? Quante volte abbiamo letto campagne per i diritti degli animali firmate dalle stesse persone che votavano le leggi per rendere illegali gli esseri umani che chiedevano aiuto?

Come dice Vauro: la vita che forse potrebbe esserci al di là delle stelle, di sicuro c’è dietro quelle reti. Solo che a noi non interessa. Ci accordiamo con quelli che accusiamo di limitare i diritti e le libertà civili (perché quello che facciamo oggi con la Turchia solo di poco si differenzia dall’idea di quanto ieri s’intendeva fare con la Libia), diciamo che non possiamo accogliere più profughi di quelli che già accogliamo (sapendo di mentire, visto che la poverissima Etiopia e il poco più ricco Libano danno ospitalità a più rifugiati di quelli che l’intera Europa si dice disposta a prendere), nessuno (a parte il Vaticano, va detto) sembra scandalizzarsi di quella contabilità ragionieristica fatta sulla pelle di persone vive, dimenticando che se nei luoghi da cui quella gente scappa si sta così male, noi non possiamo non dirci, direttamente o meno, responsabili, ma rivendichiamo il nostro essere “civili” perché scriviamo bene princìpi e poesie, contiamo i neutrini nei tubi o facciamo volare le nostre macchine oltre il cielo.

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