Questa volta sono russe le bombe che hanno colpito dei civili. Ma ricorderete sicuramente le armi intelligenti per i bombardamenti chirurgici (e infatti, da buoni chirurghi, quei missili si precipitavano in ospedale) che, intelligentemente, radevano al suolo una scuola, una chiesa, un mercato e di quanti e quali colori avete visto le livree degli eserciti che li usavano.
“Danni collaterali”, ci avevano abituato a chiamarli durante i primi conflitti della post-modernità, quelli che, per noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, si svolgevano esclusivamente in tv, fra luci verdi e inquadrature digitali. Sotto quelle bombe, però, continuavano a finirci le cose e le vite degli uomini. Perché le bombe a quello servono, a distruggere caserme e fabbriche, ponti e palazzi, ma anche scuole e ospedali, se capita, e, quando bombardi, capita che capiti. E a uccidere, i cattivi, certo, ma pure i buoni, gli innocenti, gli uomini, le donne e i bambini che, con le ragioni della guerra, non c’entrano nulla.
Perché chiedendo gli “interventi militari” è questo che si chiede: bombe, missili, aerei, navi, soldati, morti. Poi si può fare il gioco a chi accusa l’altro di maggiore crudeltà, ma in guerra la gente muore. Ecco perché alcuni non ne vogliono nemmeno sentir parlare, e non capiscono il folle entusiasmo, criminale, sì, di quanti, a ogni controversia, invocano lo strumento bellico quale metodo risolutivo. Ed ecco perché qualcuno, nel definire la Carta fondamentale della nostra Repubblica nata sulle macerie di due conflitti mondiali in meno d’un trentennio, volle scrivere una norma come quella contenuta nell’articolo 11, usando un verbo forte e senza possibilità di fraintendimento: «L’Italia ripudia la guerra».