Lo stipendio lo prende da voi

Non scrivo quasi mai di cinema. E non per scelta, diciamo così, redazionale; semplicemente perché, da un punto di vista tecnico e artistico, ne capisco ben poco e ancor meno me ne interesso. Al contrario, m’interessa, e molto, il cinema sotto il profilo sociale e culturale, dato che le pellicole, le storie che raccontano e il loro effetto sul e di pubblico sono sempre un fenomeno non trascurabile.

Ecco, nello scorso finesettimana, l’ultimo film di Checco Zalone ha incassato una cifra a doppia cifra seguita da sei zeri, ben più del settimo episodio della saga di Star Wars. Sinceramente, sono contento. Perché non ho mai visto neanche gli altri sei episodi dell’epopea delle guerre intergalattiche, perché le major hollywoodiane di altri dollari non hanno bisogno e perché, che un mio coetaneo pugliese, di Capurso, per la precisione, faccia soldi giocando sugli stereotipi che solitamente gettano addosso ai terroni, mi fa immensamente piacere.

Quo Vado? non l’ho visto e ci sono poche possibilità che vada a vederlo: francamente, mi sono bastati gli scatches di presentazione e le brevi scene fatte vedere nei tg. E soprattutto mi basta aver visto altre volte altri personaggi dello stesso attore, tutti perfettamente in linea, quasi sorta di tanti “Piero Scamarcio” attualizzati, con quella piccola e grande scuola di talenti che fu negli anni novanta Telenorba (e d’altronde non poteva non essere così, dato che il suo regista e sodale Gennaro Nunziante è stato autore nelle varie serie di Toti e Tata con Emilio Solfrizzi e Antonio Stornaiolo). Lo stesso nome d’arte che Luca Medici s’è scelto viene da quella stagione della tv di Conversano; per le orecchie non allenate al barese, suona come “Chetta Marrone”, e s’inserisce a pieno titolo in quella strisca che va dal poeta morente “Mino Pausa”, al direttore dalla schiena piegata “Lino Linghuetta”, fino ai supereroi “Kiavik” e “Cozzalo Nero”.

Diciamola tutta: Luca Medici è un giovane uomo di quasi quarant’anni, barese, laureato in legge. Senza uno studio “di papà”, cosa avrebbe potuto fare? Andarsene via, magari a lavorare precariamente per qualche studio legale di Milano o per qualche call center di Roma. Sarebbe stato sempre emigrato, e nemmeno avrebbe avuto quel posto fisso, quel lavoro sicuro, che canta nel film il personaggio che ha creato. Invece, Checco Zalone gioca sui limiti delle situazioni che conosce, li acutizza, li rende parossistici, li sfrutta e ci guadagna.

Detta diversamente, il “posto fisso” l’ha trovato; regolarmente pagato al botteghino da quanti vanno a vedere le pellicole che gira. E mi torna in mente un’altra piece di quella tv pugliese già citata. C’erano due comici conduttori, Pio e Amedeo (sì, gli stessi de Le Iene, solo che allora avevano più fantasia e una trasmissione che si chiamava U’ Tub, il tubo), che come sigla della loro rubrica, sulle note di “Meno male che Silvio c’è”, cantavano: “non sapevamo davvero che fare, e non ci andava di lavorare, lo stipendio lo rubo da te, meno male che…”, eccetera, eccetera, eccetera.

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