Si possono chiudere le scuole per ricordare la nascita e la morte del Cristo, ma non si dovrebbe, nelle stesse, allestire un presepe o esporre un crocifisso. E perché? Dico, se quei simboli e segni non tengono in giusto conto le sensibilità di altre religioni o modi di intendere la vita, allora anche quelle festività e ricorrenze fanno altrettanto: allora, non interrompiamo le lezioni a Natale o a Pasqua.
Credo che in alcuni eccessi di politically correct si nasconda una malintesa idea di multiculturalismo. Le tradizioni sono un dire tra ciò che c’era prima e quello che verrà dopo, non escludono il diverso, proprio perché dalla somma e dalle stratificazioni di varie forme ed esperienze si sono formate. L’idea che il rispetto passi attraverso il togliere e azzerare le caratteristiche degli uni e degli altri, annullandole, rendendole anonime, non solo non fa un buon servizio alla tradizione, di chiunque, ma non aiuta nemmeno la convivenza e il rispetto reciproco, e neanche la giusta considerazione per l’individuo.
D’altronde, anche lo stesso Natale altro non è che il risultato dell’incontro tra culture e modi di intendere il mondo fra loro differenti, e in quel dire tra essi s’è formato progressivamente, a partire dalla data della sua celebrazione, fino ad assumere le forme e i modi in cui lo conosciamo.
Cosa c’è di meglio che vedere araldi della difesa di una purezza nordico-padana, difendere l’effige del ricordo di clandestini mediterranei e levantini in fuga dalle persecuzioni di un potere che non ammetteva l’avvento di nuove fedi? A parte le facili battute sui seguaci dei matrimoni celtici e dei riti delle ampolle, fattisi templari d’un dio più meridionale dei terroni e più extracomunitario dei vù cumprà, rimane il fatto che le culture si definiscono per somma, mai per sottrazione.
Non ha senso far tabula rasa di quel che c’è, nell’ansia di dimostrarsi moderni, contemporaneamente respingendo ciò che arriva, per la paura di scoprirsi invasi. La storia dell’umanità, altro non è che la narrazione collettiva di una continua migrazione, che ha forgiato gli aspetti degli uomini, le loro lingue, i loro saperi e pure le loro fedi.
Immaginare di annullare tutto in un indistinto appiattimento reciproco, di chi c’è e di chi arriva, non è rispettoso per nessuno; è stupido e inutile, come quei formaggi industriali e pallidi che li comprano tutti non perché piacciano a qualcuno, ma perché non dispiacciono a nessuno.
Può funzionare in una logica commerciale, ma gli esseri umani e il loro modo di pensare, nonostante i ripetuti tentativi di ridurli unicamente a una dimensione economica, sono ancora molto di più e tanto di diverso.